KENEALLY: «UN'ARCA PIENA DI STORIE»

KENEALLY: «UN'ARCA PIENA DI STORIE» KENEALLY: «UN'ARCA PIENA DI STORIE» Da Giovanna d'Arco alla lista di Schindler ino un mondo aperto, che si confronta con l'altro mondo, per fortuna». Veniamo alla tua non meno fondamentale irlandesità, ora che l'Irlanda e la sua letteratura, il suo cinema, sono diventati di moda. «Che vuoi, gli irlandesi sono se stessi ovunque, con la loro creatività, la loro eccentricità. Vedi, un irlandese ò come un'auto da noleggio: resistente, efficiente, al punto clie puoi trattarla male. Metti la marcia sbagliata? Funziona lo stesso». Esiste una vera e propria dia¬ HOMAS Kencally, classe 1935, australiano di origine insopprimibilmente irlandese, cattolico (ha frequentato il seminario ma lo ha lasciato prima dell'or .'.inazione sacerdotale), è narratore e saggista di considerevole statura, ù deve la sua fama intemazionale, secondo me giunta anche troppo tardi, al romanzo da cui Spielberg ha tratto La lista di Schindler. Lo abbiamo incontrato a Palermo, per il premio Mondello alla carriera. Tom, evito sin dall'inizio di chiederti di «La lista di Schindler», perché penso che sia troppo prevedibile, e magari monotono. Parliamo prima della tua qualità di australiano. Nadine Gordimer ha scritto di recente della marginalità, sostenendo che durante l'apartheid il Sud Africa non era un mondo, e che ci si sentiva schiacciati dal mondo, l'altro. «No, in Australia è stato a lungo Palermo il contrario. L'Australia era un mondo, e l'altro quasi non esisteva, se si eccettua il legame con la Gran Bretagna. Ora è molto diverso: sia- giramondo, fermandosi qua e là e ripartendo. Il premio Mondello mi ha consentito di fare la stessa cosa in modo un po' diverso, ed eccomi in Italia, da buon australiano». Ma tu sei un giramondo letterario per l'ampiezza del tuo territorio romanzesco. Hai scritto Blood Red, Sister Rose, che ha addirittura come protagonista Giovanna d'Arco. Di recente, il tuo Towards Asmara è collocato in Eritrea, nel cuore di un paese appena uscito da una guerra sanguinosa per la sua indipendenza dall'Etiopia. E poi, Schindler naturalmente. Che cosa è, per te, la stòria? «La storia, credimi, è sempre contemporanea. No, non sono un autore di romanzi storici nel senso della grande tradizione europea. I miei romanzi storici, se voghamo chiamarli così, sono spesso accuratamente documentati, verissimo. Ma la storia si lega in modo indissolubile con rimmaginario, e i personaggi esigono il ruolo di protagonisti, oltre la storia, al di là della storia». L'Australia esige nei tuoi libri spora australiana. Il mio fermo sospetto è che sia composta da omosessuali che si sentono repressi in patria, e, per ciò che riguarda gli australiani di matrice irlandese, cattolici osservanti, di espatriati che vengono in Italia, generalmente a Roma, per sentirsi vicini al Papa. Che so, il grande scrittore Martin Boyd, sepolto a Roma, al cimitero degli inglesi. «Posso essere d'accordo di massima. Ma poi ci sono i giovani, quelli con lo zaino in spalla, che fanno i una sua parte cruciale, in termini realistici e in termini simbolici. Giustamente si è parlato di due elementi ancestrali e quasi primordiali: l'acqua e il fuoco; il mondo urbano e il mondo rurale. Penso a un romanzo recentissimo e splendido, pubblicato in Italia da Frassinelli, «La donna del mare interno». Senza contare The Chant of Jìmmy Blacksmith, il cui protagonista è un aborigeno meticcio. «Sì, ho affrontato l'universo Au¬ stralia nella sua complessità. Ed è assai complesso». Veniamo a La lista di Schindler. Il tuo romanzo si intitola, ben più immaginosamente, L'arca di Schindler. Perché il mutamento? «Per due motivi. Il primo, abbastanza curioso. La potente comunità ebraica degli Stati Uniti non gradiva l'idea dell'arca, della matrice biblica, quasi che questo stesse a indicare una singolare, storicizzazione dell'Olocausto in prospettiva biblica, addirittura una sorta di involontaria complicità.