FUSCHINI, IL CAMPO DEI MIRACOLI di Bruno Quaranta
FUSCHINI, IL CAMPO DEI MIRACOLI FUSCHINI, IL CAMPO DEI MIRACOLI LA RARITÀ' di Sandro Doma PIEDIGROTTA è il poema più bello mai dedicato da un poeta a Napoli». (Arrigo Lora Totino, Torino 1980). Il testo di Piedigrotta, noto fin dal 1913, fu pubblicato solo nel 1916 dalle Edizioni futuriste di «Poesia» a Milano e servì da traccia per dei veri e propri spettacoli (oggi le chiameremmo «performances»)- Sono le lettere dell'alfabeto a numerare le pagine del libro di Francesco Cangiullo nel quale trova spazio anche «La declamazione sinottica» di Marinetti. Poi le famose 18 tavole «parolibere», autentica esplosione di allegria e creatività, vera rievocazione di Piedigrotta con tanto di suoni e rumori. Eppure la festa tra Cangiullo e Marinetti sarebbe finita pochi anni dopo, nel 1924, proprio per quel mai perdonato ritardo della pubblicazione di Piedigrotta. Oggi questo libro ha un valore di oltre 2 milioni di lire. OMPONE su fogli gialli, la calligrafia è vasta, generosa, evoca il gesto del seminatore. Don Francesco Fuschini, ottantadue anni, già parroco di Porto Fuori, «il migliore degli scrittori cattolici italiani», secondo Prezzolini, offre una scelta di Parole poverette, sparse di giornale in giornale fra il '68 e ti il li di fi N gg68 e l'81, fra la contestazione e il limo di un nuovo conformismo. Non che, da allora, la penna in talare, bizzarramente ortodossa, taccia. Ma queste righe «corsare» - per la cura fraterna di Walter Della Monica - non vogliono saperne di accucciarsi nel passato, sono una trincea sempre schietta, sempre integra, contro il «qualunquismo morale», un tarlo che ancora aspetta il suo domatore. Porto Fuori, vicino a Ravenna, era una roccaforte anarchica, dove svettava una suprema istanza: «impiccare l'ultimo re con le budella dell'ultimo prete». Don Fuschini, di arguzia in carità, il patibolo l'ha evitato. Non solo. Prima di accomiatarsi, nell'82, dall'ispido gregge, gli è capitato di scherzare con l'antico «nemico» sulla nostra epoca «di ruoli capovolti, in cui il prete fa il mangiapreti e il mangiapreti fa il clericale di complemento». La chiarezza, l'onestà di ieri. La babele, il raggiro di oggi. Parole poverette, ovvero disarmate, libere, beatamente evangeliche, evangelicamente a orologeria. Non accatastate, non messe in fila alla bell'e meglio, stilisticamente fuori serie: sapienziali, proverbiali, di foggia vernacolare, non omiletiche («Il mio lettore sa che m'ispiro alla parlata di Tugnazz, ossia a quel campo dei miracoli che è il dialetto romagnolo»). Don Fuschini si è via via scelto maestri e compagni di lapis severi innanzitutto con se stessi. Da don Anacleto Bendazzi, latinista carissimo a Roncalli, che ne valutò le prove d'esordio («Si può anche dire così») a Papini («Se sono prete e non fiocinino nelle valli di Comacchio, la Storia di Cristo ha la sua parte nella sterzata»). Da Piero Bargellini, che lo invitò a collaborare a «Frontespizio», al manzoniano Cesare Angelini, il rettore del Collegio Borromeo che riconosceva due padroni: Cristo e il dizionario. I medesimi tutori di don Fuschini, scortato almeno da una terza guida che lo rende impermeabile a qualsivoglia etichetta (conservatore, reazionario, papalino, financo progressista): il codice romagnolo. «Sono romagnolo - avverte - e non tollero l'acqua nel vino». In forza della linfa che scorre nel¬ l'albero genealogico tiene a bada ora Vittorio Gorresio, che contesta l'atto di fede di Paolo VI nel diavolo, ora Raniero La Valle migrato sulla sponda comunista («per seguire le insegne preindustriali della falce e martello, e pensieri a cresta spenta raspano nel cuore»), ora monsignor Lefèbvre («Lei che fa patire la Chiesa per il suo attaccamento a una stagione che ci fu cara ed è morta»). Prete di conio raro, don Fuschini. L'estrema eco del curato di Berna nos. Invita, pur conscio che i D'Arzo sono estinti: «Mettete in romanzo il prete: è l'ultimo personaggio che brucia dentro, un uomo che parla con gli angeli ed è solo come un cane.». Ma non maledice la solitudine. Quando si allungano le ombre la disarciona parlando «a di&dogo interno con i miei morti tì poi faccio autobaldoria. Dio ha dato ad ogni uomo un soldo». A me ha dato un soldo di fantasia». Nella campagna romagnola, la nebbia «macinata a doppio zero» attizza una storia «poveretta» che ha ormai il colore della favola. Bruno Quaranta PAROLE POVERETTE Francesco Fuschini Mars/7/o pp. 198 L 12.000
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