ITALOAMERICANI MAFIA & SPAGHETTI di Claudio Gorlier
ITALOAMERICANI MAFIA &c SPAGHETTI ITALOAMERICANI MAFIA &c SPAGHETTI Da Puzo alla Paglia, vince lo stereotipo N un suo scritto sulla genesi del Padrino, Mario Puzo ebbe a sottolineare che il suo romanzo possedeva «energia», e che egli, come autore, aveva avuto la fortuna di creare «un protagonista accettato dai lettori come genuinamente mitico». Una dichiarazione del genere non è casuale, e si applica perfettamente anche all'ultimo successo di Puzo, L'ultimo padrino. In altre parole, Puzo ci spiega insieme i suoi intenti e la ragione del suo successo: scrivere un romanzo che non abbia, al fondo, reali ambizioni letterarie, ma che si imponga quale storia vera e, in definitiva, mito. Noi preferiremmo parlare di stereotipo, ma in sostanza il nodo centrale rimane lo stesso. A ragione, dunque, un critico italo-americano, Fred L. Gardaphé, ha insistito nel presentare i romanzi di Puzo nei termini di storie orali giunte alla scrittura senza perdere in nulla le caratteristiche peculiari dell'oralità. In L'ultimo padrino, Puzo ci ritrae il mafioso Pippi: «Quel bandito era un buon narratore, con una riserva di storie interessanti». All'opposto, il personaggio t,dello scrittore di professione, Vail, famoso a livello mondiale, viene rappresentato quasi con disprezzo, saccente e vanitoso. Lo scritto di Gardaphé è apparso in una raccolta di saggi sugli scrittori italo-americani, Front the Margin, pubblicato nel '91, e lo stesso studioso è tra i direttori di Via, Voices in Italian Americana, una seria e ricca rivista dedicata appunto ad autori che rimangono in genere, nono- stante tutto e con g,stante tutto e con rarissime eccezioni, marginali. A suo modo, il successo di Puzo contribuisce a respingere ai margini i suoi meno fortunati colleghi, proprio in quanto il pubblico americano tende a chiedere allo scrittore di matrice italiana essenzialmente degli stereotipi. Dovremmo osservare preliminarmente che la cultura degli ita cultura degli italo-americani resta ai margini non soltanto per ciò che riguarda la letteratura. Nessun politico italoamericano è assurto ai vertici: lo stesso Cuomo rifiutò la candidatura presidenziale giacché temeva di venire schiacciato dagli stereotipi, a cominciare dalla mafia. Puzo non gli ha certo reso un buon servizio. La chiesa cattolica ha annoverato negli Stati Uniti due soli cardinali di origine italiana, Bernardin, morto di recente, e Bevilacqua, a fronte di numerosi prelati di ascendenza irlandese e tedesca. L'oralità come linea di forza resta un dato cruciale. Vale per l'ormai dimenticato Pietro Di Donato, con il suo Cristo tra i muratori (1938); si coglie distintamente anche in uno scrittore ingiustamente trascurato in vita e rivalutato negli ultimi anni, John Fante, il quale meriterebbe ben altra attenzione che non Puzo, anche se il «tipico» delle comunità italiane qualifica l'ambiente della sua narrativa, senza mai trascenderlo. A questo punto si impongono due domande chiave, e giustamente esse ricorrono in alcuni studi apparsi nel primo numero di quest'anno di Via. La prima si potrebbe formulare così: quali, tra gli autori italo-americani di un certo rilievo, si possono ricondurre a un'autentica matrice italiana? La seconda, che talora rimanda alla prima, solleva un altro quesito: quanto spesso sono gli stessi autori italo-americani a convalidare gli stereotipi e a rimetterli in circolazione? Se l'ambiente italiano affiora nei romanzi di Don DeLillo, riesce arduo negare che si tratti di un autore americano in senso stretto. Più singolare il caso di una delle figure di punta del movimento beat, il poeta di Gasoline che, arrestato dai carabinieri a Firenze in preda a una micidiale combinazione di bevande alcoliche e di allucinogeni, declinò, come si usa dire, le sue generalità all'italiana, pur conoscendo poche parole della nostra lingua: Gregorio Nunzio Corso. Ma Vincent Zangrillo, che riporta l'inedito episodio nel numero di Via citato prima, sottolinea opportunamente che la calabresità di Corso, pupillo di Ginsberg e personaggio di Kerouac, resta affidata a rari momenti di nostalgia o, appunto, a echi stereotipici in Gasoline: la lira di Nerone di fronte all'incendio di Ro l td ma, le «strade della Mafia». L'esempio più sorprendente di debito nei confronti degli stereotipi si incontra in un'autrice apparentemente insospettabile, Camille Paglia, personalità quasi carismatica nell'ambito del movimento femminista e della scena artistica americana. La sensualità e lo spirito deca- dente che sono parte del suo caa le derivano dal rattere, confessa, le derivano dal lato napoletano della sua ascendenza. Non solo: «Come italiana, per me non è un problema conciliare violenza e cultura»; «una selvaggia veemenza di linguaggio è comune tra i meridionali»; «come italiana, credo i dieci occhi per occhio e dieci denti per dente». Forse anche per questo spaccio di luoghi comuni, confessa un autore di qualche notorietà come Gay Talese, un nome italiano può ancora incoraggiare la discriminazione persino a livello di istituzioni culturali, dalla scuola superiore all'università. «Siamo americani soltanto in parte», lamenta Talese, e racconta come il direttore di una rivista gli impose uno pseudonimo ebraico americano, Hyman Goldberg, in quanto il cognome italiano suonava inopportuno. Ma i primi a non far credito agli autori italo-americani sono spesso i lettori italo-americani. Talese sostiene che gli italo-americani leggono poco in assoluto, e si rivolgono piuttosto al cinema e alla televisione. Martin Scorsese racconta di avere una volta sbalordito i suoi genitori «arrivando a casa con un libro»: paradosso, ma assai significativo. Annette Wheeler Cafarelli, a cui mi rifaccio per alcune di queste indicazioni, nota ancora su Via che gli africanoamericani rifiutano gli stereotipi e rivendicano le proprie matrici culturali, ma bisogna rilevare che, per loro, la lotta per conquistare uno spazio, un'identità e una libertà nella società americana rifiuta l'assimilazione e propizia una rivincita. Non otterrebbe più molto credito, sospetto, la storiella che si raccontava a Brooklyn alcuni decenni or sono. Riguarda George Washington che si mette in salvo, incalzato dagli inglesi, su una barca attraverso il fiume Delaware gelato. «Fa uno freddo e' cazzo!» esclama il grande eroe, e il fedele barcaiolo, di rimando: «Italiano pure voi?». Claudio Gorlier Mario Puzo
Luoghi citati: Delaware, Firenze, Front, Stati Uniti
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