E' sieropositivo, cacciato dall'ospedale di Anna Langone

Foggia, l'uomo denuncia: «E' la terza volta che capita, sempre con la stessa scusa» LE CURE NEGATE Foggia, l'uomo denuncia: «E' la terza volta che capita, sempre con la stessa scusa» P sieropositivo, cacciato dall'ospedale Alberto, 40 anni: «Mi hanno detto che non c'era posto» FOGGIA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Voleva ricoverarsi per curare la cirrosi epatica, s'ò sentito rispondere di no. Decine di volte, l'ultima qualche giorno la quando, col ventre gonfio per l'ascite, si è presentato ancora all'ospedale del suo paese. «Non c'è posto - gli hanno detto - ti ricovereremo quando sarà aperto il reparto per i sieropositivi». Cosi non gli è rimasto che rivolgersi al reparto di Malattie infettive di Foggia, dove ricorre ogni volta che gli altri nosocomi lo respingono. Il malato rifiutato, un uomo di 40 anni, è un immunodeprcsso. Da dodici anni ha incontrato l'Aids, ma il suo stato di salute è buono. «Il paziente - dice l'aiuto del reparto, il dottor Tino Grisorio - ha le difese perfettamente funzionanti. L'epatite di tipo C che lamenta non ha nulla a che vedere con l'Hiv e, per questo, può essere curato insieme agli altri malati». Nella realtà questo non accade. Alberto, lo chiameremo così per tutelarne l'identità, ha ormai combattuto con tutti gli ospedali della zona in cui vive: a Manfredonia, a Monte Sant'Angelo, a San Giovanni Rotondo, per lui le porte sono chiuse. L'anziana mamma, che è arrivata persino a «scovare» letti vuoti in quei reparti sovraffollati per il figlio, racconta: «L'estate scorsa, dopo aver fatto le analisi prescritte dal medico di base, con l'impegnativa per il ricovero, abbiamo raggiunto l'ospedale di San Giovanni Rotondo. Mio figlio aveva il ventre gonfio per l'ascite, proprio come adesso e, al pronto soccorso, gli hanno subito fatto il ricovero. Una volta giunto nel reparto, una dottoressa l'ha bloccato, dicendogli che non c'era più posto». «Lo stesso medico - aggiunge Alberto - notando il gonfiore della pancia, mi ha consigliato in modo sbrigativo di bere di meno: ma come faccio, se per rimpiazzare i liquidi che perdo col sudore debbo consumare due litri d'acqua al giorno». A Manfredonia per Alberto c'è sempre l'esaurito: «L'ultima volta dice la madre - ho chiesto di parlare col primario e mi hanno detto che era in ferie. In passato ho domandato di chi lo sostituiva, mi hanno risposto che non c'era il medico interessato e io invece lo sentivo parlare nella stanza a fianco». Nel reparto di Malattie infettive, dove c'è un archivio completo dei sieropositivi e malati di Aids della provincia di Foggia, storie come quella di Alberto sono all'ordine del giorno. «Fino a qualche tempo fa - racconta il dottor Grisorio - se im sieropositivo aveva un incidente, lo medicavano alla meglio e lo mandavano qui, oppure non eseguivano sul paziente alcun esame. Una volta in questo reparto stava per nascere un bambino: era di una ragazza sieropositiva che ha fatto qui tutto il travaglio ed è stata portata nel reparto Maternità solo al momento del parto». Emblematico quanto accadde in Chirugia generale degli Ospedali Riuniti di Foggia in marzo: 27 fra medici ed infermieri denunciarono all'Inail di essere venuti in contatto, a loro insaputa, con liquidi organici e sangue di un paziente sieropositivo. A distanza di sei mesi i test sono risultati tutti negativi, ma l'episodio la dice lunga sulle paure che ancora circondano i sieropositivi. Un esercito di centinaia di persone, costrette - raccontano a Malattie infettive - a mimetizzarsi, oppure a subire grosse umiliazioni per vedersi riconosciuto il diritto alla salute. Anna Langone

Luoghi citati: Foggia, Manfredonia, Monte Sant'angelo, San Giovanni Rotondo