«L'odio, una sofferenza in più» di Marco Neirotti
La Montinaro «L'odio, una sofferenza in più» La vedova Calabresi: ma ci vuole tempo per perdonare di vittime - i parenti, le vedove - che muta reazioni nel tempo? «In comune c'è un ergastolo che noi scontiamo. Sono riuscita a ricostruirmi una vita, anche grazie a figli in gamba. Ma molte cose te le porti dietro per sempre, guardando i figli crescere, dovendo dare risposte». C'è un vostro ergastolo occulto? «Forse sì. Ma è diverso per ciascuno. Conta molto il rapporto con la fede, con la religione. Ma il perdono ha diversi volti, come il pentimento: pentito per utilità o per tormento personale? Per calcolo o per difficoltà di vivere con se stesso?». Lei è cattolica, del perdono ha parlato spesso. Crede a un perdono generalizzato, comune? «La fede è soggettiva. Il perdono è un percorso. Trovo assurdo quando arrivate voi, 5 minuti dopo una tragedia, a chiedere: perdona? Vorrei vedere lei perdonare subito dopo una tragedia di questa portata». Ci spieghi il perdono vero. «Per un credente il perdono è l'unica alternativa vera a un'epoca violenta. Ma perdono non è mettere una pietra sopra. Non è: lasciamo perdere... Penso alla ragazza uccisa dalle pietre. La giustizia non ha nulla a che fare con il perdono». Perdono individuale e non sociale o, ancor più duro da digerire, giudiziario? «Io distinguerei tra uno strumento giudiziario che riguarda le indagini (ed è appunto il meccanismo dei collaboratori) e un altro che riguarda persone pentite e parenti di vittime, dunque loro stesse vittime, che danno il loro perdono umano a chi lo va cercando. Nell'assassinio di mio marito c'è stato un pentimento sofferto, non richiesto, pagato in mille modi, che chiede perdono e forse anche rispetto, ma non voglio entrare nel campo personale». Però distingue tra due ire: la vedova dell'agente, la donna uccisa in autostrada. «Credo che si debbano leggere gli atteggiamenti. La prima si rivolge allo Stato più che ai pentiti. Dice, in sintesi: voi avete fatto questo e a voi lo Stato dà tutto quanto non dà alle vittime. Il pentitismo è uno strumento di lavoro, di indagine, certo. Ma che cosa dà lo Stato ai suoi strumenti e alle vittime? C'è una discrepanza atroce. Nell'altro caso, quello del cavalcavia, c'è quel gesto assurdo e il non perdono direttamente per chi è colpevole. Sono molto diversi. Non rappresenta¬ no un fenomeno, una tendenza femminile di comportamento». Lei fa anche una lettura religiosa del perdono... «Certo. Io perdono chi, tormentandosi e non reggendo ciò che ha commesso, si pente. Non chi, invece, sfrutta una situazione giudiziaria». Ma lei consiglia il perdono? «No. Come credente sono propensa al perdono laddove non sia una finzione ma un tormento interiore». E se la parente di vittima le dicesse «Mi dica che fare»? «Non direi che fare. Però a tutte vorrei ricordare che, al di là del perdono, l'odio fa male a noi, ci logora, devasta la sintonia con chi ci ha lasciato. Non ci lascia vivere. Un conto è la voglia di giustizia. L'odio in quanto tale è per noi una condanna in più». Marco Neirotti «Per un credente la remissione è l'unica alternativa a un'epoca violenta. Ma non significa metterci una pietra sopra» Gemma Capra, vedova del commissario Calabresi
Persone citate: Calabresi, Gemma Capra
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