Seul, per i sindacalisti pronte le manette di Giuseppe Zaccaria

Seul, per i sindacalisti pronte le manette Seul, per i sindacalisti pronte le manette mato a 20 leader di altrettanti sindacati di categoria di presentarsi in procura entro le 10 odierne locali (le 14 in Italia) per interrogarli sull'organizzazione degli scioperi svoltisi fra Natale e Capodanno. Il leader della seconda federazione sindacale del Paese, Kwon Yong-Kil, che come altri suoi colleghi è stato convocato negli uffici della procura, ha dichiarato che non si presenterà davanti ai giudici per essere interrogato. «Gli scioperi aumenteranno se verranno arrestati i dirigenti sindacali», ha sottolineato il leader della confederazione coreana dei sindacati (Kctu), l'organizzazione che ha promosso gli scioperi dei giorni scorsi. Aspra la reazione degli industriali, forti dell'appoggio governativo: «Denunceremo tutti coloro che hanno commesso illegalità nei luoghi di produzione», ha detto Byun Hae Ryong, segretario della federazione degli imprenditori sudcoreani. Byun ha precisato che gli scioperi fra il 26 dicembre e il 3 gennaio sono costati agli imprenditori 403 milioni di dollari in mancata produzione. La nuova legge, che secondo il governo mira ad aumentare la competitività industriale e la sicurezza del lavoro, viene invece considerata dai sindacati un «passo verso la schiavitù» perché facilita i licenziamenti mettendo a repentaglio migliaia di posti di lavoro. I sindacati lamentano inoltre il fatto che di libertà di associazione all'interno delle aziende non si potrà parlare fino al 2002 e contestano al partito di governo di avere approvato la legge controversa all'alba del 26 dicembre in modo semiclandestino, in un'aula dove erano presenti solo i parlamentari del partito al governo, quello della Nuova Corea. Di certo c'è che le agitazioni sindacali, le più massicce nella storia cinquantennale della Corea del Sud, potrebbero aggravare ulteriormente una situazione economica già precaria. Nel 1996 si è infatti registrato un deficit commerciale record di venti miliardi di dollari, il doppio rispetto all'anno precedente. [e. st.] di strage dinanzi alla magistratura croata. Sulla sua «serbità» comunque non ci sono dubbi. Anche per questo vederlo incontrare ieri una delegazione di cinque studenti, non solo per rassicurarli sulle intenzioni dell'esercito ma per dare loro una certa legittimazione, è cosa che ha impressionato. L'Armata, ha detto Perisic ai giovanotti, deve restare fuori dalla politica, lo dice la Costituzione. La Costituzione però non le impedisce di schierarsi per una soluzione democratica della crisi, per un progetto che sospinga la Jugoslavia fuori da questo convulso dopoguerra e verso l'Europa. «Ci è stato assicurato che mai l'Armata ripeterà l'intervento del '91», ha spiegato Cedomir Jovanovic, un altro portavoce del movimento studentesco. Mai più carri armati in piazza, dunque, a fermare gli studenti e trasformarli come allora accadde in altrettanti «volontari» delle bande cetniche che appoggiavano i «fratelli» d'Oltredrina. Quei fratelli, fra l'altro, dimostrano ogni giorno di più di sentirsi traditi da Milosevic e vicini a chi lo combatte. Dalla «Srpska Republika» ieri è toccato ad Alexi Buha, esponente dello stesso partito di Milosevic nonché ex ministro degli Esteri, dire che il regime deve «riconoscere immediatamente» i risultati delle elezioni e «adeguarsi alle regole della civiltà». Paiono tutti pronti a farlo, tranne il ministero degli Interni. Dopo il generale Perisic, ieri gli studenti hanno incontrato anche Zoran Sokolovic, responsabile della polizia. Chiedevano che il divieto di organizzare cortei venisse revocato, il ministro ha risposto che «continuerà ad applicare la legge». Giuseppe Zaccaria

Persone citate: Alexi Buha, Byun Hae Ryong, Cedomir Jovanovic, Kwon Yong-kil, Milosevic, Perisic, Zoran Sokolovic

Luoghi citati: Corea, Corea Del Sud, Europa, Italia, Jugoslavia