Fontana, Einstein e i veneziani
Ci fu anche un movimento Vicenza. Le sorprese della mostra sullo spazialismo degli Anni Cinquanta Fontana, Einstein e i veneziani Le illusioni delle tendenze concettuali Ci fu anla scintdal catoE, VICENZA / abbastanza raro, . in questo formicolante deserto-superfetazione di 1 pseudomostre inutili e pretenziose, imbattersi in qualche occasione di studio e di sorpresa. Bisogna dunque dare atto a Luca Massimo Barbero di aver concertato nel gradioso spazio della Basilica Palladiana, sino al 19 gennaio, una ragguardevole mostra, non soltanto per il forte impatto scenografico ma anche per il minuzioso lavoro di ricerca e documentazione confluito in un vivace catalogo del Cardo (lavoro che si è riversato, pure, accendendole d'invidiabile vitalità, su alcune gallerie cittadine, tra cui quella di Amedeo Porro, con luminosi pezzi classici di Fontana), Il titolo copre un decennio veneziano: «Spazialismo. Arte Astratta a Venezia, tra il 1950 e ìi '60». Dunque per far non soltanto l'astro quasi accecante di Lucio Fontana, che frequenta Venezia per lavorò, per suggestione, per rapporti con gallerie e istituzioni (espone molte volte alla Biennale) ma anche per riposare i suoi entusiasmi creativi («Sono tornato da Venezia, che tempo schifo!» scrive reattivamente dietro una tela, quasi fosse un titolo; oppure: «Domani vado a Venezia, ne ò proprio nostalgia»), bensì tutto quanto, attraverso firme di Manifesti ed echeggiare in Laguna, può rientrare in fondo sotto questa complessa etichetta, che sta in difficile equilibrio tra l'astrattismo neoplastico con suggestioni kandinskiane (da cui questi artisti vogliono emanciparsi) e l'incanto materico di matrice informale. Non che tutto questo delicato equilibrio di alchimie poetiche sia troppo distinguibile e netto, nonostante i litri di teorizzazione ebbra e veggente: ma sta proprio qui la ragione dell'interesse della mostra, condita di tanti documenti originali e di affondi critico-filologici. Pertanto, non dunque contrasti con il Grande Milanese, come vorrebbe far pensare il titolo del saggio di Crispolti, Fontana versus Venezia: non tanto «contro», quanto in dialogo, secondo una dialettica più riverberante, alla vigilia della diaspora Nucleare. Ma se Fontana, con i suoi Tagli o i suoi Teatrini manifesta questa sua volontà gestuale, fattuale, quasi ingorda, di andare al di là dell'opera, di aprirsi all'arte concettuale o addirit¬ tura d'installazione, è pur vero che i veneziani in questione (capitanati soprattutto dall'inesauribile Guidi) forse più legati al luminismo classico di matrice lagunare o addirittura i cieli sconfinati di eredità tiepolesca, non tenteranno mai, nemmeno, di evadere dal supporto rassicurante della tela. Lasceranno che «la bomba atomica» scoppi tra le viscere di juta e resine (come scrive a proposito di Bacci una musa insospettata del gruppo, che è poi Peggy Guggenheim, attenta non soltanto al suo «amore» infelice Tancredi, che gli fu presentato dal pittore Bill Congdon, per cui parla di una «nuova filosofia poetica per coloro che non posseggono né telescopi né razzi»). Ma Razzo oltre che Grafie Spaziali, Omaggio a Gagarino a Vivaldi, si chiamano talvolta ingenuamente queste opere, che hanno l'ambizione di cancellare la bidimensionalità della forma tradizionale, per salutare una nuova illusoria quadridimensionalità einsteiniana, quella «curvatura dello spazio», che dovrebbe nella luce far balenare il caos primordiale dello spazio-tempo. Ma in fondo il relativismo di Einstein, così studiato eroicamente dal designer Vianello, non è altro che l'Elan Vital bergsoniano, verniciato di empiti astronauti. E anche la lingua dei manifesti, futuristicamente, si fa oracolare, esclamativa. «L'arte è eterna, ma fu sempre legata al¬ la materia, noi vogliamo che essa ne sia svincolata, e che attraverso lo spazio possa durare un millennio, anche nella trasmissione di un minuto» si legge nel manifesto del «Movimento Spaziale per la televisione», che s'illude che dal catodo possa scaturire una scintilla d'arte. «Il ciclo della v spalanca le forme dell'incommensurabile» conferma incendiai un criticofiancheggiatore, l'Ambrosini: «Le mani annaspano negli spazi siderali per toccare i limiti dell'infinito». «Tumulto religioso» teorizza Guidi. E a proposito di Tancredi (via dall'aridità politicizzata di Corrente) «un Canto d'amore per la pittura» conferma De Luigi, il grande amico di Carlo Scarpa, la vera sorpresa di questa mostra, con i suoi lirici Grattages, orme create da una luce puntinista. Intorno alla singolare figura del gallerista-istigatore Cardazzo si delineano altre notevoli personalità: Licata, Tancredi, Bruno De Toffoli, Bacci, che Alfred Barr avrebbe voluto con sé a New York, Gino Morandis (che avrebbe aggiunto una «s» per distinguersi dal suo omonimo maestro bolognese) ancora molto suggestionato da Afro, Vinicio Vianello, Hartung e Sam Francis del vetro, l'elegante Enrico Finzi e la fiabesca e visionaria Bruna Gasparini, che piaceva a Alfonso Gatto. Una vera nebulosa. Marco Vallora Ci fu anche un movimento la scintilla dell'arte dal catodo televisivo per far scaturire
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