La continua rincorsa per colmare i «buchi» di Alfredo Recanatesi

La continua rincorsa per colmare i «buchi» OLTRE LA LBRA La continua rincorsa per colmare i «buchi» RESE nella loro fredda espressività, le cifre sono desolanti. 138.500 miliardi di disavanzo connotano il 1996 non solo come un anno nero per le finanze dello Stato, ma soprattutto come una cesura nella tendenza ad un progressivo contenimento che aveva caratterizzato gli anni di questo decennio. E l'inversione di tendenza ha rilevanza non tanto in sé, quanto perché la continuità e la solidità del processo di aggiustamento peseranno quando si tratterà di decidere della partecipazione dell'Italia all'Unione monetaria europea. Le cifre sono desolanti se si richiama la storia di questo anno di finanza pubblica. Era cominciato con una finanziaria, quella del governo Dini, che si prefiggeva un ambizioso disavanzo di 109 mila miliardi. Ancor prima che quella legge fosse approvata - si era ancora nel '95 - già era certo che i suoi contenuti sarebbero stati insufficienti per conseguire quell'obiettivo, per cui era altrettanto certo che si rendeva necessaria una manovra aggiuntiva. Dopo qualche esitazione, Dini lanciò la palla oltre le elezioni che si andavano delineando. Si stava compiendo la sua mutazione da tecnico a politico, con l'intento di impegnarsi in quelle elezioni a capo di un nuovo movimento, ragione per cui sarebbe stato per lui penalizzante presentarsi con misure impopolari nelle quali, per di più, sarebbe stato implicito il riconoscimento dell'errore commesso sottodimensionando la legge finanziaria appena varata. Una delle due grosse radici del desolante risultato del 1996 sta proprio in quel ritardo. Infatti, la manovra aggiuntiva, la cui necessità era evidente ancor prima che l'anno cominciasse, potè essere definita e realizzata solo dopo le elezioni e dopo l'insediamento del governo Prodi, quando metà anno era già alle spalle e, quindi, quando la portata contabile sull'esercizio in corso delle misure adottate sarebbe stata comunque dimezzata (la manovra fu di 16.000 miliardi in base d'anno, per cui l'effetto non può essere stato che di 8000 miliardi o poco più). Quel ritardo ha avuto un costo anche sulla spesa per interessi che, probabilmente, sarebbe stata più contenuta se una più tempestiva compressione del disavanzo avesse anticipato il ridimensionamento dei tassi di interesse che, invece, è stato sensibile solo nella seconda parte dell'anno. L'altra delle due grosse radici del peggioramento è tutta nel mese di dicembre. Mentre l'ultimo mese del '95 era stato «scaricato» da spese e trasferimenti fatti slittare all'esercizio successivo, nell'ultimo mese dell'anno appena terminato è stata effettuata la manovra opposta: quella di caricarlo di spese che avrebbero potuto essere imputate all'esercizio '97. I Questa insolita manovra ha I avuto lo scopo di alleggerire l'anno le cui risultanze verranno considerate ai fini dell'ammissibilità all'unione monetaria, ed è quindi uno dei tanti effetti perversi determinati dalla procedura di attuazione dei trattati di Maastricht. E' probabile che questo escamotage sia sfuggito di mano poiché Comuni, Regioni, Usi ed altri enti si sono affrettati a prelevare il prelevabile temendo misure restrittive nel prossimo futuro, ma in ogni caso l'anticipazione di oneri del '97 sul '96 era stato previsto, voluto ed anche annunciato dallo stesso ministro del Tesoro. Da aggiungere, infine, che queste accidentalità si sono sommate ad una stagnazione economica che - lo abbiamo già rilevato in altre occasioni - ha determinato un aggravio di spese e un rallentamento delle entrate (il gettito dell'Iva ha un andamento piatto). Tutto ciò considerato, la desolazione che emerge dalle crude cifre del '96 può essere in buona misura ridimensionata. Sempre a motivo dell'improvvida procedura di avvicinamento all'Unione monetaria europea e del gioco di anticipazioni e ritardi che di fatto impone, i dati contabili di questi anni hanno un significato relativo se considerati singolarmente. Vanno considerate le interazioni che si determinano tra esercizi contigui e, soprattutto, la stagnazione congiunturale, la quale, in particolare nel caso italiano, è effetto degli aggiustamenti effettuati e nello stesso tempo causa di quelli che, con scoraggiante reiterazione, si presentano sempre da effettuare. Il problema, dunque, non è tanto la distonia tra previsioni e consuntivi - marginali quando si consideri che la spesa totale non è lontana dal milione di miliardi l'anno e le entrate totali superano abbondantemente gli 800 mila miliardi quanto la continua rincorsa a colmare buchi che poi si riaprono per il fatto stesso che, chiudendo i precedenti, è stata anche ridotta la base imponibile di reddito e di ricchezza sulla quale lo Stato si regge. Anche ora si delinea una nuova, ennesima manovra. Secondo regole improvvide che, tuttavia, nessuno può cambiare, è necessaria per coerenza con l'impegno a partecipare all'unione monetaria ; non ci si può ritirare dalla corsa quando il traguardo è ormai in vista. Ma l'economia ne soffrirà ulteriormente e nuovi buchi si apriranno. Non c'è bisogno di provare per credere perché è la storia di questi anni che sta sotto gli occhi di tutti. Alfredo Recanatesi BSiJ

Persone citate: Dini

Luoghi citati: Italia