«Così l'impresa fugge» di Flavia Amabile

«Siamo il Paese dove si pagano le tasse più alte del mondo» «Siamo il Paese dove si pagano le tasse più alte del mondo» «Così l'impresa fugge» Cipolletta-. l'Italia non attrae più ROMA. L'Italia perde business appeal. Secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, è passata dal 6° all'80 posto nella classifica europea degli investimenti in Paesi stranieri. E, per giunta, si allunga la lista di aziende che vogliono lasciare il bel Paese. Che cosa sta accadendo? Innocenzo Cipolletta, diretore generale della Confindustria, non ha dubbi: «Quei dati - dice - confermano l'impossibilità di proseguire lungo la strada di continue manovre di aggiustamento che invariabilmente si traducono in un'insopportabile incertezza sul peso delle tasse e dei contributi a carico dei soggetti economici». Mettiamola così allora: gli investitori stranieri non sono in grado di prevedere quante tasse dovranno pagare e preferiscono andare altrove? «Non solo. L'unica certezza in Italia è che si va incontro ad aumenti delle tasse. Prendiamo le imprese che hanno investito nel Mezzogiorno: devono giustificare costi molto superiori rispetto a quelli preventivati al momento dell'analisi dell'investimento. Si trovano in forte imbarazzo oltre che in possesso di un investimento diventato in pochi mesi non più conveniente. Con la stessa rapidità, sono costrette a chiudere gli impianti che costano troppo e trasferirli altrove». Con la stessa rapidità, lei dice: questione di mesi? «Un armo basta». Si può allora ipotizzare che cosa accadrà nel giro di un anno in assenza di misure? «Di fatto, stiamo assistendo a un calo di produzione e, allo stesso tempo, di importazioni. Questo provoca effetti negativi sulla bilancia dei pagamenti e sui conti pubblici, ma comporta anche il rischio di perdere posizioni in aree difficili». Quali, ad esempio? «Il Mezzogiorno certamente è l'area più esposta. A differenza del Nord non ha eccessi di capacità produttiva, anzi: se perde anche quel poco che esiste per via dei trasferimenti all'estero, la sua situazione si complica irrimediabilmente. E a risentirne è l'intero sistema». Non sono solo le imprese straniere ad abbandonare l'Italia: anche gli italiani se ne vanno. «In linea teorica, non è sbagliato trasferire la propria attività se si tratta di aziende che operano con l'estero: di sicuro, è la formula migliore per conquistare quote di mercato. Per questo motivo, sono contrario a politiche che frenino gli investimenti all'estero e sono invece favorevole a politiche che attirino gli investimenti stranieri in Italia». In che cosa consistono? «Prima di tutto in un abbassamento dell'imposizione fiscale. Quella italiana è la più alta in Europa. Poiché l'Europa è già la più alta nel mondo, si può tranquillamente dire che l'Italia è dove le aziende pagano più tasse al mondo». Esistono però delle agevolazioni fiscali. «Le agevolazioni sono complicale dal punto di vista istituzionale. E comunque innescano un meccanismo perverso. In Italia è normale versare il 60% del proprio reddito allo Stato. Si può giungere ad un 3040%, ma si tratta di eccezioni, per di più legate al legislatore di turno, per le quali bisogna sentirsi grati. Come imprenditore, preferisco pagare il 30% altrove, in condizioni di normalità e probabilmente ricevendo anche un'accoglienza migliore». L'ingresso nell'Europa monetaria potrebbe rendere più competitive le nostre imprese? «No, il solo ingresso in Europa non è di per sé di nessun aiuto. Questo è un problema interno e dall'interno va risolto. E' il governo a dover mutare la propria politica fiscale». Il ministro Visco ha presentato un progetto di riforma... «Un insieme di rischi e speranze. Nessuno sa ancora che cosa accadrà, ma si spera che sia una svolta positiva. Il '97 sarà un anno cruciale: il ministro dovrà in tempi ra¬ pidi consentire alle imprese di avere di nuovo dei parametri certi per le proprie scelte e, al tempo stesso, dovrà offrire una prospettiva concreta di abbassamento dell'imposizione attraverso un patto chiaro con le imprese». La proposta di una riduzione dell'orario di lavoro può essere una strada da seguire? «No, è solo una follia, fallita in tutti i Paesi che hanno provato ad applicarla. La strada da seguire per aumentare l'occupazione è, al contrario, quella di una moltitudine di orari, con forme di lavoro diverse dalle usuali, slegate da vincoli e pastoie». Flavia Amabile IL FISCO E l& (Imposizione tributaria) 48% < do» iù o a e e a a Innocenzo Cipolletta direttore generale della Confindustria

Persone citate: Cipolletta, Innocenzo Cipolletta, Visco