Il gioco delle parole dimenticate; Bach contro la Befana

Uno straziato LETTERE AL GIORNALE // gioco delle parole dimenticate; Bach contro la Befana Ripeschiamo il «Milazzismo» Il gioco del dizionario lo imparai molti anni fa a scuola e da allora continuo a farlo. Esso rappresenta il modo per controllare l'andamento fisiologico della nostra lingua. Secondo me il neologismo o nuovismo va accolto e registrato per quello che rappresenta. E' interessante comunque vedere come si modula una parola secondo l'esigenza del momento, talvolta necessario per rendere meglio comprensibile un dato concetto. Si può verificare che il neologismo scivoli nell'effimerisino (sarà forse il caso di ùiciucio e accordicchio, peraltro registrati nel secondo volume degli Annali del Lessico Contemporaneo Italiano). Ma può anche accadere che una parola caduta nel dimenticatoio ogni tanto venga ripescata e fatta rivivere. E' di qualche tempo fa la ricomparsa della parola «milazzismo», corrente politica siciliana della fine degli Anni 50, credo non registrata dai dizionari moderni, ma accolta dal Grande Dizionario della Lingua Italiana di S. Battaglia. Sergio Alaimo Assoro (Enna) Il buonismo trionfa ancora Bene! Il buonismo italico ha nuovamente trionfato. Come sono contento di essere italiano! Infatti non mi risulta che nessun altro Paese europeo si sia agitato come il nostro per un delinquente abituale, certo O'Dell, condannato a morte negli Usa. Chissà perché? Forse i francesi, gli spagnoli, i tedeschi o gli inglesi sono più cattivi di noi? Noi, guidati dai preti, dal Papa e dal progressismo nostrano, siamo facili alla commozione e prodighi di consigli e ammonimenti agli altri popoli. E' pur vero che la metà meridionale del nostro Paese è in mano a varie mafie; che giudici, poliziotti, avvocati vengono massacrati come polli; che il sequestro di persona è quasi un'attività economica regionale; che nessun Paese europeo ha conosciuto la nostra corruzione. Ma non importa: noi italiani siamo buoni, siamo i più buoni del mondo! Emanuele Cerrato Torino I baffoni di Stalin in dono ai pargoli Con buona pace di tutti, atei, materialisti, scettici, schopenhaueriani, integralisti del Nulla e nemici del Bambin Gesù, che rivendicano il «diritto costituzionale» di eliminare dalla vita pubblica italiana il presepio con annessi bue asinelio, pastori e stella cometa, nonché la Croce su cui la più bella favola del mondo si compì, da quella stalla e da quel Golgota è sorta, oltre ad una morale di vita del tutto nuova - ama il tuo nemico, offrigli l'altra guancia che purtroppo non ha cambiato in meglio il mondo, ma molti uomini, come Paolo di Tarso e Francesco d'Assisi, sì - anche e soprattutto l'arte e la cultura europea a cui tuttora abbeveriamo il nostro intelletto e, scusate se lo nominiamo, il nostro spirito. Non avremmo un Giotto, un Michelangelo, un Dante, un Manzoni e altri mille che riempiono di meraviglie artistiche, poetiche, letterarie musei chiese e biblioteche. Niente grandi cattedrali, niente Cappella Sistina, non il Duomo di Milano, di Orvieto, di Spoleto, non Jacopone col suo Stabat mater che ispirò Palestrina, Pergolesi, Gluck, Haendel, Haydn, Rossini. Non la Passione di San Matteo, la Messa in si minore, il Magnificat di J. Sebastian Bach. Non le Missae in cui l'ispirazione dei grandi compositori - compreso Verdi - ha toc- cato le vette più alte. Come faranno a capire tutto questo gli uomini a cui la violenza ideologica dei genitori ha negato le lezioni di storia e filosofia cristiana (liberi di accettarla come religione oppure no) e persino la poesia semplice e toccante di un presepe che rappresenta l'incipit storico della nostra civiltà nonché della nostra redditizia industria turistica? Che cosa offrono in cambio ai loro e altrui pargoli, a parte la barba di Carlo Marx, il pallore sinistro di Lenin, i baffoni di Stalin e l'orripilante Befana? Quali radici, quale morale, se non rispettano nemmeno il Vangelo del loro padre storico Voltaire quando pro¬ clamava: «Io non credo a ciò che dici, ma mi batterò perché tu possa dirlo»? Certo non favorisce memoria di Betlemme l'ipnotica noiosità delle pompe natalizie a San Pietro in cui annega ogni emozione, con quel canto gregoriano, detto firmus per la sua invariabilità in quinta, datato V secolo - ma già prima i papi avevano vietato il genere cromatico e armonico reputato snervante ed effeminato - che appesantisce le palpebre di grandi e piccini eroicamente presenti. Non sarebbe tempo, per la Chiesa di Cristo, di superare la bimillenaria avversione per gli strumenti usati nelle feste pagane, e conseguente ignoranza musicale delle sue gerarchie, avvalendosi delle Missae dei grandi compositori, che con la loro bellezza elevano lo spirito e meravigliosamente accompagnerebbero il grandioso e drammatico rito? E certo non aiuta a capire Betlemme il fiume dolciastro di indiscriminato perdonismo immemore che quel bimbo della mangiatoia un giorno dirà: «Se il tuo fratello pecca riprendilo; e se si pente, perdonagli». E se pecca sette volte al giorno?, gli chiedono. Risposta: «Se sette volte torna a te e ti dice: Mi pento, perdonagli». Buon Anno. Laura Bergagna Lanzo Denunciamo i piazzisti d'armi Denuncio tutti quei «piazzisti d'armi» che prosperano nei nostri governi e riempiono il Terzo Mondo di strumenti di morte. La diplomazia italiana era presente in forze a Vienna, al Convegno per il disarmo, con una delegazione composta da membri del ministero degli Esteri di Lamberto Dini e di quello della Difesa. L'intervento ufficiale di un capo-delegazione, che ha fatto atto di presenza solo per poche ore, è stato un capolavoro di vuota retorica, una dichiarazione d'intenti cui non ha fatto seguito un vero impegno del nostro Paese per la messa al bando delle mine antiuomo (spesso antibambini). Non mi stupirei se, una volta che si fosse distinto tra mine «buone» e mine «cattive», il nostro governo togliesse la moratoria dell'agosto '94, lasciando che le aziende italiane, che in fatto di tecnologia delle mine non hanno da invidiare nessuno, tornino a produrre e vendere liberamente i loro giocattolini! Gianni Bugliolo Canelli (Asti) Giornalismo e referendum Ho letto sulla Stampa di venerdì l'ampio servizio dedicato ai referendum. Devo muovere una amichevole critica al modo con il quale è stato presentato il referendum che ci riguarda direttamente. La Stampa scrive a proposito del referendum «sull'Ordine dei Giornalisti», che lo stesso consente di «abolire una legge che permette solo agli iscritti all'Ordine di dirigere una pubblicazione». Va precisato: a) che il referendum mira, invece, ad abrogare la legge n. 69/1963 sull'ordinamento della professione giornalistica. Recita così, infatti, il quesito: «Volete voi che sia abrogata la legge 3 febbraio 1963, n. 69, recante Ordinamento della professione di giornalista?»; b) che è la legge sulla stampa n. 47/1948 a volere giornalisti alla direzione di quotidiani e periodici e che, comunque, la Corte Costituzionale ha trovato corretto questo principio con la sentenza n. 98/1968. Attenzione alle finalità del referendum: Pannella dice indirettamente, bestemmiando (aggiungo io), che non esiste una professione giornalistica e che conseguentemente principi etici (scritti nella legge professionale), Contratto FnsiFieg e Inpgi sono strumenti da privilegio da cancellare. dott. Franco Abruzzo Presidente Ordine Giornalisti Lombardia