«Le riforme a tutti i costi »

Le riforme a tutti i costi Le riforme a tutti i costi » Mancino: a fine legislatura lascio ék. IL PRESIDENTE DEL SENATO LROMA A sorpresa arriva appena il discorso scivola sulla prossima corsa al Quirinale, e ai nomi di candidati che già circolano per la più alta magistratura della Repubblica. Anche lei, presidente Mancino, si sente in gara? «No», risponde secco, «per niente. Intanto ritengo inutile esercitazione giornalistica quella di pensare al 1999 senza tener conto che, fra le modifiche costituzionali, ve ne potrà essere una riguardante proprio le modalità di elezione del Capo dello Stato. E ciò cambierebbe completamente lo scenario. Alche delle previsioni, dei movimenti, delle strategie». Va bene, ma quale futuro riserva per sé? «Conclusa questa legislatura», annuncia il presidente del Senato, «lascerò il campo. Ci sono momenti della vita in cui il ritorno in famiglia e agli studi giuridici viene avvertito con più forza. Ho dato qualcosa alla politica e ho anche tanto ricevuto. Bisogna saper dire basta al momento giusto». Fino a quel momento, comunque, Nicola Mancino sarà ben presente sulla scena politica. E dal suo punto di osservazione ormai «disinteressato» è in grado di scorgere meglio di altri il destino della legislatura, che ruota sempre più intorno a un nodo irrisolto: le riforme istituzionali. Presidente Mancino, nascerà o no la Commissione Bicamerale? «Non so. Mi auguro di sì. Personalmente, ritengo che sia lo strumento idoneo per fare le riforme». Per quale motivo? «Perché semplifica i procedimenti e mette senatori e deputati nella condizione di sapere lungo quali strade sarà possibile realizzare convergenze frutto di una elaborazione, di una discussione, di un confronto anche duro. Le regole, vede, non possono essere il risultato di un'imposizione. In quel caso, solo un commissario straordinario potrebbe scrivere una carta costituzionale. Ma sarebbe un'ipotesi incompatibile con la democrazia». La nuova Costituzione, lei dice, dovrà esser figlia di un compromesso... «Non sempre i compromessi sono mediocri. I padri costituenti realizzarono un compromesso istituzionale, e ciò rese possibile l'approvazione della Carta attuale. Naturalmente, io parlo di un compromesso alto e nobile». E cioè? «Deve portare a una scelta di ordinamento moderno per quanto riguarda modello di Stato e modello di governo». Che tipo di Stato auspica? «Sono convinto che debba perdere molto del suo potere centrale. A Roma deve rimanere tutto ciò che riguarda la sovranità statuale. Tanto per fare qualche esempio, le relazioni internazionali, la difesa, la giustizia, l'ordine pubblico, la moneta, la cultura, parzialmente i tributi». E il resto? «Va destinato alle Regioni, ai Comuni, alle Province». Parliamo del governo. «Sono per la conservazione del si¬ stema parlamentare. Pur nel rispetto delle posizioni diverse assunte dalle forze politiche, mi è difficile immaginare un'elezione diretta del capo del governo». Per quale motivo? «Il sistema sarebbe un po' troppo rigido. E poi, non siamo negli Stati Uniti, dove i contropoteri, a partire dalle assemblee elettive, limitano fortemente la figura stessa del Presidente». Preferisce il cosiddetto governo del premier, proposto nella famosa ((bozza Fisichella»? «Si può partire certamente di lì, con gli opportuni perfezionamenti. Chi sceglie è il popolo sovrano, ma il sistema ha pur sempre bisogno di correttivi capaci di consentire al Parlamento la realizzazione della democrazia rappresentativa». Se per far nascere la Bicamerale il centro-sinistra dovesse cederne la presidenza all'opposizione, lei sarebbe ostile? «No. Se un suggerimento è possibile, da una carica istituzionale che deve rimanere neutrale, consiglierei prudenza, duttilità e disponibilità. Il sistema politico non tollera più rinvii. E Parigi vai bene una Messa». Che fare, se Bertinotti si metterà di traverso? «Se le riforme devono essere frutto di una convergenza, le maggioranze all'interno della Bicamerale possono, e qualche volta debbono, prescindere dalla maggioranza di governo». Firmerà la proposta di Segni e Cossiga per dar vita a un'Assemblea Costituente? «No. L'Assemblea Costituente è figlia di eventi straordinari». Tipo? «Una guerra perduta, una rivoluzione, mi sovvertimento, un'Algeria». E l'Italia non ha vissuto qualcosa del genere? «Il sistema che ci ritroviamo è debole e malconcio, ma non al punto da pregiudicare la vita delle Camere. Faccio io, rispettosamente, una domanda: che ne sarebbe della legislatura in corso se tutti i maggiori leader politici andassero a far parte della Costituente?». Qualcuno teme che la Bicamerale passi, ma senza il quorum richiesto dei due terzi, e che dunque possa scattare la raccolta di firme per indire un referendum... «Il timore, per quel che ne so, non è tanto quello, quanto che i tempi richiesti per il referendum e per la Costituente sarebbero tali da portarci le riforme dopo il 2000». Quali altre riforme auspica, oltre a quelle istituzionali? «Della giustizia e della pubblica amministrazione. I buchi di bilancio sono figli della disamministrazione, centrale e periferica. A un ministro del Tesoro suggerirei di pretendere un'organica riforma dell'amministrazione statale. Ormai abbiamo raschiato il fondo del barile, e aumentare la pressione fiscale sarebbe intollerabile». In tema di giustizia, le sembra maturo qualche atto di pacificazione nazionale? «Prima si ricuperi la fiducia dei cittadini disciplinando più rigorosamente le attività di prevenzione e repressione della corruzione. Poi si potrà pensare a riequilibri normativi che non siano però colpi di spugna tout court». Il suo partito, il ppi, sta per andare a congresso. Tenterà ancora di convincere Gerardo Bianco a ricandidarsi? cSi deve innanzitutto convincere lui. Bianco può rappresentare l'unità del partito, che invece rischia una divisione anche di carattere territoriale, tra Nord e Sud». Per De Mita, l'unica candidatura razionale sarebbe quella di Marini. Condivide? «Marini è certamente una risorsa utile al partito. E personalmente non ho motivo per non sottolinearlo». Dicono però che lei sia freddo perché Marini, nel '94, le preferì Buttigliene... «E che importanza potrebbe avere tutto questo? Anzi, dovrei... essergli grato. Oltretutto, simili scontri personali appartengono a un'altra epoca, quando l'abbondanza talvolta poneva in primo piano le fortune personali piuttosto che quelle generali». A proposito: perché il ppi non ha sfondato tra gli elettori moderati? «Perché ha privilegiato una strategia di alleanze anche a danno della propria consistenza elettorale. Ora il ppi dovrebbe intercettare un elettorato fatto di giovani e di militanti che tra il '92 e il '96 l'hanno abbandonato. Non è un revival, che può far diventare forte il centro, ma una ricerca di affinità». Largo ai giovani anche nel partito? «Sono, ovviamente, perché i giovani assumano responsabilità nel partito. Ma se a guidarli occorrerà una mano esperta, i Popolari dovranno farla emergere dal congresso». Un'ultima previsione: durerà il governo Prodi? «Col sostegno della maggioranza che lo regge, sì. Naturalmente, il sostegno dovrà essere convinto». Ugo Magri «La presidenza della commissione al Polo? No, non sarei contrario Il sistema non tollera altri rinvìi E allora Parigi vai bene una Messa» «Se il rinnovamento deve nascere da una convergenza, le maggioranze nella Bicamerale possono e devono prescindere da quella di governo» «Se il rinnovamento deve nada una convergenza, le magnella Bicamerale possono e prescindere da quella di govLe riformMancino: a f Qui accanto: il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi e il presidente di An Gianfranco Fini Nella foto grande: il presidente del Senato Nicola Mancino

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