Primitivi senza «confezioni» di Sabatino Moscati
L'allarme del Centro Ligabue L'allarme del Centro Ligabue Primitivi senza «confezioni» CARI dèi delle selve - dice press'a poco una preghiera dei Lacandoni, popolo primitivo dell'attuale Messico —I- facciamo queste offerte perché il sole possa sorgere sempre per noi, perché non si trovi il petrolio che arriva dal cuore della madre terra e rompe la terra, che è il nostro stesso cuore. Proteggete questo sacro territorio, questi fratelli alberi: fate che possiamo continuare a vivere nella nostra terra, nel nostro bosco». Raramente la disperata lotta delle antiche tradizioni, e dell'antica vita con esse, contro il dilagare della «civiltà» moderna fu espressa con tanta efficacia. E questo è solo un caso tra i molti di popolazioni che vivono ancora allo stato di natura, nei villaggi immersi tra i boschi, raccogliendo i frutti della terra e praticando la caccia e la pesca. Il motivo della preghiera è chiaro: l'uomo moderno avanza con le sue macchine sofisticate e spietate, cerca il petrolio e quando lo trova spazza via la foresta, ne fa campi di estrazione dove gl'indigeni, al massimo, possono rimanere in condizione di servi. Una serie di missioni etnologiche italiane, promosse e realizzate dal Centro Studi Ricerche Ligabue di Venezia, è andata a scoprire queste e altre popolazioni «primitive» prima che sia tardi, che l'incalzare della «civiltà» ne determini la riduzione e poi la scomparsa. La situazione si ripete in più punti del mondo, specialmente nelle aree che eufemisticamente chiamiamo «in via di sviluppo»: Africa, America centromeridionale, Estremo Oriente. La via dello sviluppo è, naturalmente, quella della distruzione. Ma ecco un altro aspetto crudele della «civiltà» moderna: quando si scopre l'esistenza di popolazioni allo stato primitivo, subito si sfrenano i turisti, i documentaristi, coloro che non studiano ma sfruttano, spesso brutalmente. E' accaduto ai laut Batu, cavernicoli delle Filippine, scoperti e subito «confezionati» dalle agenzie turistiche per incarnare l'immagine del «buon selvaggio». Forse la più conosciuta, tra queste popolazioni in crisi drammatica, sono i Pigmei africani. Nel cuore delle foreste dormono in capanne, si spostano su piroghe. Se il nostro mondo riflettesse, conserverebbe le foreste anzitutto per sé, per le proprie necessità climatiche ed ecologiche; e i Pigmei ne sarebbero i naturali custodi. Ma v'è poca speranza che ciò accada. Cosa fare? Che la conservazione di queste società «primitive» sia un elemento essenziale, per la conoscenza di noi stessi e della nostra storia, appare evidente. Di più: la stessa sperimentazione della natura umana, della sua adattabilità, delle sue prospettive di vita non può prescindere da tale esperienza. Né può prescinderne la storia della civiltà, perché ad esempio si trovano presso quei popoli manifestazioni d'arte spontanee e rivelatrici: chi guardi, ad esempio, le pitture rupestri dei Taut Batu vi scopre impressionanti analogie con quelle del Sahara, constatando una naturale vocazione all'arte «astratta». L'incontro con gli ultimi «primitivi» dev'essere dunque rispettoso della loro realtà; e poiché la società moderna non può essere ignorata, vanno cercate forme di convivenza dall'una e dall'altra parte. In tal senso, il Centro Ligabue ha compiuto un'opera altamente meritoria, di cui alcune tappe principali sono riassunte in questi giorni nel volume Popoli in bilico curato dall'editrice Erizzo. Ma per una conoscenza adeguata occorre vedere i tanti rapporti delle varie missioni, nonché il periodico Ligabue Magatine che via via le documenta. Sabatino Moscati
Persone citate: Batu, Erizzo, Ligabue
Luoghi citati: Africa, America, Estremo Oriente, Filippine, Messico, Venezia
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