Italiani, gli irresponsabili di Sergio Romano

il caso. Dopo la denuncia di Sergio Romano e l'autocritica dei politici, la parola agli uomini di cultura il caso. Dopo la denuncia di Sergio Romano e l'autocritica dei politici, la parola agli uomini di cultura Italiani, gli irresponsabili Tutti i rìschi del «Paese mediocre» I vede che il clima natalizio ò ormai dimenticato. La Befana non è ancora venuta a portarsi via, con le leste, la melassa edificante-buonista di questi giorni, e già due voci controcorrente hanno provveduto a risvegliarci. Due pugni nello stomaco: li hanno sferrati l'ambasciatore Renato Ruggiero, direttore generale della World Trade Organisation, con un'intervista al Corriere della Sera, e Sergio Romano con un lungo articolo sulla Stampa. L'Italia è un Paese miope, dice il primo: ha l'aria di una vecchia marchesa snob, superficiale, fuori del tempo, che si sfinisce nelle piccole beghe di casa nostra, mentre gli altri si preparano alla grande sfida della globalizzazione. Siamo il Paese della mediocrità, infierisce Romano: irresponsabili, scansafatiche, sempre pronti all'autodenigrazione e (contemporaneamente) all'autoassoluzione. Sul banco degli imputati ci sono un po' tutti, giornalisti, sindacalisti, uomini d'affari. Ma soprattutto i politici, sottolinea Romano: da trent'anni orinai «i maggiori partiti hanno smesso di parlare il linguaggio della responsabilità e dell'impegno individuale», vezzeggiando gli italiani come elettori invece di trattarli come cittadini. Tutte le colpe vengono scaricate sulla società, e per chi fallisce c'è sempre la commiserazione, oltre a una serie di nuove chance ottenute con l'abbassamento dei criteri di selezione (nella scuola come nella vita). Una sorta di «catechismo nazionale», alla cui base c'è, «naturalmente», un calcolo elettorale: quello per cui i mediocri sono, in ogni campo, la maggioranza e dunque vanno coccolati a scapito dei migliori. Dopo le prime reazioni dei politici di tutte le parti, la cui difesa (in verità molto autocritica) è stata registrata dai giornali di ieri, abbiamo sondato gli uomini di cultura. Giudizi articolati, ma in generale la denuncia è stata largamente raccolta. ((Assolutamente d'accordo» con l'analisi di Romano si dice il maestro Luciano Berio: «Ma con lui sarei d'accordo comunque, perché è uno dei pochi capaci di penetrare con un po' di luce l'oscurità che emana dai dialetti mentali della nostra penisola». Più critico un intellettuale come Luciano Canfora, lo storico antichista vicino a Rifondazione comunista: «Non vorrei passare per un Pangloss, ma mi sembra mia diagnosi un po' allarmistica. Il lamento sul proprio tempo come tempo di decadenza appartiene a tutte le epoche - pensiamo soltanto, per non risalire troppo indietro, a quello di Alfieri. Quindi: o tutte le fasi delle storie sono terribili e calamitose, oppure dobbiamo abituarci a convivere con una serie di problemi, a partire da quello, dibattuto fin dai dialoghi platonici, di come si seleziona una classe politica. E' l'eterna questione della democrazia, che deve compenetrare il criterio della competenza con quello della maggioranza». La parola a un intellettuale postcomunista. «La cittadinanza come serbatoio di voti, gli elettori vezzeggiati come clienti: è vero», riflette Salvatore Veca, filosofo della politica, direttore della Fondazione Feltrinelli. «Però bisogna capire in che contesto è maturata questa situa¬ zione: un certo ruolo pervasivo e ubiquo della classe politica si è sviluppato per l'assenza di altre istituzioni forti. D'altra parte ci sono anche tanti cittadini che amano essere vezzeggiati. E poi, quale partito, e in quale Paese, non vezzeggia gli elettori? Pensiamo al discorso di fine anno di Major, o a quello di Chirac. Denunciare le responsabilità del ceto politico va benissimo. Ma non vorrei che questo diventasse una specie di controparte simmetrica del dare tutte le colpe alla società. In sostanza: nevica, governo ladro. E intanto nessuno spala. Invece di giocare allo scaricabarile, nell'attesa delle ruspe ognuno di noi farebbe bene a assumersi la sua piccola responsabilità». Saverio Vertone, altro intellettuale post-comunista, approdato nel frattempo a Forza Italia, è d'accordo sulla critica all'irresponsabilità nazionale, ma ne individua le cause remote risalendo indietro nel tempo. «Nessuno parla agli italiani come a un popolo di adulti, ma come a fedeli di una parrocchia. La mediocrità è la spremuta di quattro secoli di Controriforma "burocratica" all'italiana, che ha ucciso la coscienza e non poteva non produrre un messaggio come quello di fine anno del Presidente della Repubblica. La sua influenza, passata nel costume politico attraverso la cultura democristiana, ha contagiato anche i comunisti, e perfino uno spirito squisitamente laico come Ciampi: l'ultimo discorso che ha tenuto al Senato mi è parso offensivo, perché si è rivolto all'assemblea come a un asilo infantile, nascondendo i problemi drammatici della nostra economia. Tutto il nostro costume politico e individuale è basato sull'irresponsabilità e sulla menzogna, a partire dalla finzione di aver vinto la guerra, dal mito della Resistenza con cui abbiamo colmato un buco della nostra storia». Ma davvero intorno a noi dilaga tutta questa mediocrità? Giuseppe De Rita, il sociologo che ogni anno tasta il polso al Paese attraverso i rapporti del Censis, è convinto che ve ne sia molto meno di quanto non appaia: «La massa è inerte ma non mediocre. E l'inerzia deriva dalla discrasia dei suoi obiettivi rispetto a quelli dell'elite. Il meccanismo a tre che funzionava una volta - l'elite che vede in anticipo, la massa che va motivata e la politica che media - è saltata 50 anni fa, quando il popolo ha preso l'iniziativa di condurre lo sviluppo individuando da sé i propri obiettivi. Finché c'era qualche cosa di palpabile, tutti avevano uno scopo da perseguire: negli anni del boom era la conquista del benessere, all'inizio degli Anni 70 il fai-da-te, la tendenza a diventare imprenditore, fra il '92 e il '95 la volontà di dimostrare che la crisi della Prima Repubblica non riguardava anche i singoli. Ora l'iniziativa sembra di nuovo essere passata all'elite, il "secondo popolo" che parla di mondializzazione e di globalizzazione. Ma questi obiettivi, così indefiniti, non sono in grado di motivare il "primo popolo". E si rischia di andare in Europa senza coinvolgere la realtà effettiva del Paese. Invece dell'Europa, si fa una tassa sull'Europa». Maurizio Assalto Berio: assolutamente d'accordo Canfora: ma il lamento sul proprio tempo è di ogni epoca. Veca: colpevoli non solo i partiti Vertone: le responsabilità di 4 secoli di Controriforma De Rita: l'elite non sa più proporre obiettivi capaci di motivare le masse le responsabilità di Controriforma l'elite non sa più e obiettivi capaci motivare le masse uagpe gli ratolpe à, e om di basone Una al un ui i la ociti (in

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