LA VOCE DEGLI SCHIAVI

Gli ultimi sopravvissuti intervistati a migliaia negli Anni 30: in America ora una studiosa nera riascolta quelle registrazioni e le trascrive Gli ultimi sopravvissuti intervistati a migliaia negli Anni 30: in America ora una studiosa nera riascolta quelle registrazioni e le trascrive LAVOCE / schiavi NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO Io ero uno schiavo. Avevo una voce, un'anima, una storia. Che cosa è rimasto di me? Quale solco nella memoria? Che ne è della mia dignità dispersa, della mia condizione umana? Donna Wyant Howell sentiva spesso voci umane che sussurravano: «Anch'io sono stato uno schiavo». E la Wyant Howell non è una visionaria, né una spiritista: le voci le sentiva tuttavia davvero. Reali, fruscianti, dolcemente terribili. Le voci venivano da alcuni rulli magnetici usati negli Anni Trenta dai ricercatori della «library of Congress» chiamati a svolgere uno dei tanti programmi sociali e culturali promossi dal New Deal rooseveltiano: il «Works Project Administration». Il programma, ormai vecchio di sessantanni (tanti quanti ne erano trascorsi dalla fine dello schiavismo al New Deal) era semplice: trovare, su tutto il territorio degli Stati Uniti, gli ultimi schiavi sopravvissuti e raccoglierne le memorie: la vita, la morte, l'amore, la gioia, la malattia, la festa e la paura ai tempi delle piantagioni. Quando l'uomo bianco possedeva la vita e il lavoro. Ed era feroce o benevolente, assassino o patriarca, così come Iddio te lo mandava, così come Iddio ti divideva dai tuoi cari, dai tuoi figli, dai tuoi fratelli e consentiva che di te si facesse commercio e libero scambio. Gli ultimi sopravvissuti erano stati liberati al termine della guerra civile, nel sesto decennio dello scorso secolo e gli intervistatori (il primo scopo del programma era quello di erogare stipendi di Stato ai giovani nel momento più cupo della Grande Depressione) lavorarono £1j|S • sodo parlando con M^S migliaia di vecchi delle piantagioni, in un'epoca in cui la parola «negro» non era inibita. Quelle interviste furono poi trascritte fra il 1934 e il 1941 e soltanto una parte di quel materiale fu utilizzato: 3500 testimonianze furono pubblicate in 42 volumi della monumentale opera The American Slave - A Composite Biography nel decennio compreso fraill972eill981. Sono tomi imponenti, ma impotenti: freddi, giganteschi e incompleti. Donna Wyant Howell ha per così dire restaurato questa Cappella Sistina in cui lo schiavismo è affrescato nel suo giudizio universale. Lo ha fatto andando a recuperare i rulli delle registrazioni, gli appunti, e sottoponendosi alla fatica terrificante di rileggersi i 42 tomi di mezzo secolo fa, per vedere di toglierne le incrostazioni e riportare alla vita quelle antiche voci. Donna Wyant Howell ha spiegato: «Mia nonna era stata schiava. Lei era molto anziana e io molto piccola. Ma ricordo la sua voce, la luce del suo sguardo, le profondità della sua memoria. Io allora rimasi turbata, ma ron dimenticai. Ora ho gli strumenti per farlo: voglio erigere un monumento a quelle memorie disperse, a cominciare dalla sua». La ricercatrice si tuffò nelle carte due anni fa e scoprì che l'intero lavoro dei volontari della Library of Congress era falsato da circostanze non desiderabili e da errori materiali. Gli intervistatori erano poco attendibili e il risultato delle loro interviste incerto, dal momento che si trattava prevalentemente di bianchi, maschi e privi della sensibilità che avrebbe dovuto spingerli a sciogliere certe riluttanze e certi pudori: «In particolare le donne, le antiche ex schiave, non si sentivano a loro agio nel raccontare le loro storie personali, spesso umilianti perché contenevano notizie di violenze sessuali, a intervistatori maschi, bianchi e giovani. Così molta parte della verità è andata persa. 0 ignorata. Ma non tutta, perché il lavoro di restauro affrontato dalla giovane Howell è consistito nel riportare a galla sospiri, allusioni, frasi pronunciate in quella lingua a parte che era l'inglese degli schiavi: storie di calci, di minacce di vendita, insulti. E anche di improvvise dolcezze, di piantagioni condotte come paradisi terrestri dell'equità e in un clima quasi biblico. Ma sempre nella schiavitù e nella subordinazione. Dice la Howell: «E' apparso sempre più evidente che la costruzione leggendaria dello schiavismo buono e umanitario, familista e cristiano, era soltanto fumo negli occhi. La realtà più comune era fatta di botte, stupri, umiliazioni e fatica fino ad ammazzarti. Il mio compito è stato ricomporre molte tessere del mosaico e portare alla luce tanta parte della verità nascosta in quelle vecchie carte». Il suo è stato dunque un lavoro di seconda mano su ciò che era già stato fatto, archiviato, selezionato e in parte pubblicato. E qui si tocca il punto editoriale di questa storia: la giovane ricercatrice non ha voluto cedere i diritti dell'opera alle case editrici tradizionali e commerciali. E sta pubblicando tutto in quaderni stampati in proprio, sotto il titolo comune I was a Slave, sono stato uno schiavo: «Gli editori volevano rimaneggiare il materiale per renderlo più commerciale, volevano imporre tagli e integrazioni. Mi hanno offerto anche grosse somme, molto allettanti per la verità, ma ho detto di no. E ho fatto da me. Naturalmente non posso aspettarmi un successo commerciale gigantesco, ma vendo circa di ogni quaderno diecimila copie per corrispondenza, e ormai tutti gli enti, le scuole, gli istituti e le biblioteche ne hanno copia. Questo è ciò che cercavo. Rompere il muro del silenzio e portare alla vita ciò che era stato frettolosamente sepolto». Chi acquistò la libertà in tempo per essere ancora in vita durante il New Deal poteva infatti avere negli Anni 30 fra i 75 e i cento anni: voci dunque non soltanto di poveri vecchi, ma di braccianti analfabeti, servi della gleba e del cotone. Parole di gergo e altre semplificate, cenni di nenie e filastrocche, una lingua antica, misterica, tessuta sulla falsariga dell'inglese dei padroni, ma carica di memoria africana e di spezzature di memoria: frantumi in attesa di ricomposizione. E proprio una settimana prima di Natale il governo degli Stati Uniti ha riconosciuto il BlackAmerican, l'inglese americano parlato dai neri con le sue inflessioni e il suo vocabolario, come una lingua separata e diversa dal- l'American English, e di pari dignità nazionale: meritevole di essere studiata e insegnata nelle scuole, con la sua letteratura e la sua storia. Il provvedimento è stato però avversato da un'ampia parte della comunità degli stessi discendenti degli schiavi: quella parte dell'inteuigencija nera che teme una nuova emarginazione culturale e sociale dietro il paravento di un commovente atto di omaggio: «Per trovare lavoro devi sapere l'inglese americano, non l'afro-inglese», è stata l'obiezione ricorrente che più si sentiva nei dibattiti televisivi. L'alta borghesia nera che in questi giorni si oppone all'insegnamento della lingua degli schiavi nelle scuole è la stessa che si batte - controcorrente - per l'abolizione di quasi tutti i contributi sociali per le famiglie nere nei ghetti che, secondo loro e anche secondo molte statistiche, sarebbe uno dei motivi di sfascio della famiglia nera delle fasce di reddito più basse. I contributi statali, affermano, sterilizzano il senso di responsabilità dei padri nei confronti dei figli e li incitano ad abbandonare le loro donne incinte e i bambini piccoli. Ma la memoria trascritta della schiavitù mostra e dimostra anche l'attualità di un'altra radice di quello sfascio: e cioè la mancanza di memoria storica nella famiglia nera americana, visto che risalendo appena di tre generazioni l'americano di pelle nera non trova più una famiglia, ma collettività di schiavi privi di qualsiasi diritto, compreso quello di allevare i figli, scegliere il coniuge, assistere i propri vecchi. Anche quando erano «ben trattati», gli schiavi non erano padroni del proprio bene, né del proprio male, né della propria sorte, ereditata insieme al trauma della razzia, della deportazione, del mercato. Tuttavia (e questa è una delle scoperte che oggi fanno insieme alla Howell anche le femministe bianche americane) la condizione della schiavitù impose la nascita della forte donna nera: una donna che avendo sempre lavorato e avendo sempre trattato da sola (magari soccombendo) con il padrone schiavista sia nella versione umanitaria sia in quella di stupratore, è diventata uno dei soggetti più forti, energici, vitali e ricchi di dignità dell'intera società americana. La donna figlia della schiavitù e dell'emancipazione dalla schiavitù non soltanto alleva i figli da sola, ma dirige il traffico, manda avanti la sicurezza sociale, lavora nella giustizia, nella sanità e nella polizia, diventando una delle colonne portanti degli Stati Uniti. Questo effetto secondario, in parte positivo, non compensa l'altro negativo: la mancanza di radici. Ai figli e ai nipoti degli schiavi non rimase infatti altro, una volta «diventati» esseri umani liberi, che assumere come modello quello della famiglia americana bianca, incorporandone anche le tradizioni del focolare e quindi facendo propria anche la memoria degli schiavisti per poterla innestare nel segmento mancante della memoria storica. A Richmond, dove sono andato per seguire la vicenda delle esecuzioni capitali nel carcere di Greensville, ho potuto toccare con mano questa menomazione e vedere la natura del rammendo operato con innesti «bianchi» sull'amnesia nera: la capitale della Virginia infatti è una città a maggioranza nera, con sindaco nero, direttore del giornale nero e capo della polizia nero. Tutto è grazioso e pulito, tutto è anzi ameno e gioioso, a Richmond: ma tutto sembra ridursi al vano spasimo di chi non ha più memoria. Come spiegare diversamente le vetrine piene di Santa Claus neri, personaggi del paganesimo nordico-bianco pittati di scuro e adottati dalla piccola e media borghesia airo-americana? Naturalmente la schiavitù americana non fu soltanto un lager, se pure la disumanità fu molto diffusa e feroce: le memorie degli antichi schiavi riportate alla luce dalla Howell raccontano anche ore bete, buffe e tenere. Quelle della solidarietà cristiana o laica dei migliori bianchi. Ore che spesso somigliano a quelle memorabili degli schiavi di Augusto, le cui feriae Augusti (da cui deriva il nostro Ferragosto) significavano momentanea ed eccezionale libertà: identica a quella dei giorni di Natale in America, quando gli schiavi avevano il diritto di far festa e darsi alle gioie della famiglia per tutto il tempo in cui il grande ceppo avesse seguitato ad ardere nel camino del padrone: di qui il rito, la tradizione bonaria della ricerca di grandi ceppi da mettere da parte per «allungare» il Natale. Un'ultima osservazione: il lavoro della Howell non è affatto mia sorta di archeologia controcorrente: al contrario, si tratta di una tendenza maggioritaria, nel solco di una fortissima valutazione e rivalutazione degli americani di origine africana: le librerie sono piene delle imprese eroiche dei neri durante l'ultima guerra, quelle aviatorie, quelle in marina e in fanteria. E la magistratura nera avanza e detta spesso legge sulla comunità bianca. Non va dimenticato che il detenuto O'Dell per il quale si sono mobilitati gli italiani è stato condannato a morte sulla base dell'inchiesta e della requisitoria di un procuratore nero assetato di macabra eguaglianza sul patibolo. Paolo frizzanti La ricercatrice: «Molta parte della verità era persa, o sfalsata» «In particolare le donne erano reticenti a confessare violenze» Intanto il governo ha riconosciuto l'inglese dei neri come una lingua da studiare a scuola: ma la borghesia di colore si oppone mento più cupo della Grande Depressione) lavorarono £1j|S • sodo parlando con M^S migliaia di vecchi a parte che era linglese degli schiavi: storie di calci, di minacce di vendita, insulti. E anche di improvvise dolcezze, di piantagioni condotte come paradisi terrestri la copie per corrispondenza, e ormai tutti gli enti, le scuole, gli istituti e le biblioteche ne hanno copia. Questo è ciò che cercavo. Rompere il muro del silenzio e ma la borghesia di colore si oppone schiavitù mostra e dimostra anche l'attualità di un'altra radice di quello sfascio: e cioè la mancanza di memoria storica nella famiglia nera ma tutto sembra ridursi al vano spasimo di chi non ha più memoria. Come spiegare diversamente patibolo. Paolo frizzanti

Persone citate: Donna Wyant Howell, Howell, Wyant Howell

Luoghi citati: America, Composite Biography, New York, Richmond, Stati Uniti, Virginia