«Vi racconto gli altri delitti»

«Vi racconto gli altri delitri» L'accusatore di Pacciani avrebbe svelato dettagli anche sui primi tre duplici omicidi attribuiti al mostro «Vi racconto gli altri delitri» Firenze, nuove rivelazioni del testimone FIRENZE. Che memoria, quel Giancarlo Lotti! Ora, ricorda tutto. Anche le scene dei primi duplici omicidi del «mostro di Firenze», pare: quello del 1968, del '74 e del 1981. Ma che cosa s'ignora di questo maniaco? C'è da credere, tante cose. Di certo il luogo dove conserva l'arma con cui ha «firmato» i delitti. Eppure, l'hanno cercata per anni e ancora la inseguono. «E' la prova regina», disse un giorno Piero Luigi Vigna, procuratore di Firenze. Senza, c'era il rischio concreto che l'accusa crollasse alla prima verifica. Ma della pistola nessuno sa niente, neppure Giancarlo Lotti, quello che ha raccontato di aver sparato a due ragazzi tedeschi, nel settembre dell'83. Introvabile, dunque, la Beretta calibro 22, unico legame concreto, fra gli otto duplici omicidi attribuiti al maniaco, a cominciare da quello del 1968 quando, a Signa su un'auto, vennero ammazzati Barbara Locci e Antonio Lo Bianco. Fu catalogato come un delitto passionale, del resto nessuno poteva sospettare l'esistenza di un mostro. 0, forse, un «mostro», ancora non esisteva. Così, anni dopo, quando sui colli fu ammazzata un'altra coppia, nessuno pose in relazione con quel primo duplice delitto la Beretta e i proiettili Winchester Lr Serie H. Una lettera anonima collegò quell'arma e quei proiettili che sarebbero diventati il marchio dell'assassino al serial killer che aveva esordito a Signa. Come un anonimo ha fatto trovare nella casa di Pacciani un'asta guidamolla «compatibile» con una Beretta. Sono molti gli anonimi in questa storia. Ora l'accusa non ha più dubbi e dice che l'importanza della pistola non è più così decisiva. Procuratore Vigna, tanti indizi hanno forse creato una certezza? «Ma sì, direi proprio quello. Prima si partiva dall'idea che era difficilissimo l'accertamento di questi reati, perché si doveva o trovare il responsabile in flagrante oppure trovare l'arma ovviamente non in un bosco ma in possesso di un personaggio significativo. Quello che, secondo le acquisizioni, ha fatto cambiare la situazione, sono le dichiarazioni rese da Lotti». E perché? «Perché sono andate a incastrarsi perfettamente con elementi che erano stati acquisiti testimonialmente nel corso delle indagini sui vari omicidi ma che, allora, erano privi di significato». Sarebbe? «Un esempio: se una persona nell"85 vedeva passare da una certa strada una macchina di un certo colore seguita da una macchina di un altro colore, questo era poco. Quando poi si è appreso, e verificato, di chi erano le automobili, beh!, quello è un dato esterno che conforta le dichiarazioni». «Non è solo la questione della pistola che non si trova», ribatte Nino Filaste, penalista e scrittore apprezzato, innocentista, autore di «Pacciani innocente». «Il fatto è che questa storia diventa sempre più imbarazzante e per tante ragioni: la confessione di questo tizio, per esempio, tirata proprio per i capelli». Si spieghi. «Uno degli aspetti più sicuri nell'omicidio dei tedeschi sono i colpi: sparati in rapidissima successione. E qui si vuol far credere che Pietro Pacciani e Mario Vanni abbiano dato la pistola a Lotti e gli abbiano detto: "Spara". La situazione si avvita su se stessa, c'è l'impressione che qualcuno voglia aggiustare a tutti i costi un meccanismo rotto. Era emerso abbastanza chiaramente come i colpi fossero stati sparati da una certa altezza ed ecco che spunta Lotti, alto per l'appunto». Sì, tutto ruota attorno al testimone «Beta», a questo manovale che sembra in possesso di una memoria di ferro ma che per anni, chissà perché, ha taciuto. Uno per il quale il pm Paolo Canessa ha ottenuto un esame psico-sessuale ma invano i difensori di Mario Vanni e Giovanni Faggi, «gli amici di merende» del Pietro, ne avevano chiesto uno psichiatrico. Una prima volta a metà novembre eppoi all'antivigilia di Natale, lui avrebbe raccontato il delitto di Giogoli e avrebbe partecipato pure ad un sopralluogo. Le dichiarazioni sarebbero secretate e il difensore, Alessandro Falciani ripete: «Non ho alcuna notizia ufficiale di deposito di atti, pertanto non posso che opporre il segreto istruttorio a qualsiasi tipo di richiesta di commenti su questa vicenda». Insomma, nessuno sembra voler fare commenti. Così, parlando in terza persona come si addice a un Granduca, Vigna avverte: «Il Procuratore della Repubblica non conferma né smentisce e oppone un cortese "no comment" su quanto pubblicato dai giornali». Poi, però, non rinuncia a togliersi un sassolino dalla scarpa: «Ho sentito alla radio uno dei difensori di Pacciani dire che avrebbe spezzato i pm di Firenze. Sono frasi già echeggiate in altri processi. I pm non sono per spezzare nessuno, meno che mai i difensori perché ritengono che sia dal contributo dialettico delle parti che possa emergere la verità processuale». E il procuratore aggiunto Francesco Fleury: «Non posso dire nulla perché ci sono indagini in corso e io non parlo di indagini in corso. Una voce è venuta fuori, c'è la smentita dall'avvocato». Ma, ha assicurato, la fine dell'inchiesta è prossima. La seconda sui delitti del «mostro di Firenze», ma incombe già l'inchiesta «tris». Vincenzo Tessandori Resta il mistero sull'arma mai ritrovata. Ma Vigna «Non è più decisiva» Il supertestimone Giancarlo Lotti e il procuratore capo di Firenze, Piero Luigi Vigna, che sta per lasciare l'ufficio e assumere l'incarico di procuratore nazionale antimafia A sinistra un'immagine del luogo del delitto del 74, il secondo attribuito al mostro di Firenze A destra, Pietro Pacciani che dovrà affrontare nei prossimi mesi un nuovo processo