In primavera nuovi sacrifici

Gli Azzurri all'attacco contro enti locali e Usi In primavera nuovi sacrifici L'Ulivopagherà i costi della chiarezza A che si debba fare è ormai sicuro. E sarà un trauma, per i contribuenti che dovranno subirla, chiamati ad un nuovo «sacrificio» per Maastricht proprio nel periodo in cui, attraverso le trattenute in buste paga o la denuncia dei redditi di giugno, comincerà a «mordere» l'Eurotassa. A quel punto sarà difficile trovare un solo italiano, anche tra i più ferventi ulivisti, che non si chieda smarrito: non avevamo già dato? Soprattutto dopo che, in questo scorcio di fine '96, s'è sentito ripetere che la Finanziaria da 62.500 miliardi aveva rappresentato «l'ultimo sforzo», e che 1'«emergenza-risanamento è ormai conclusa». Le cose non stanno così, purtroppo. E lo si sapeva da tempo. A via XX Settembre, dove pure fino a metà del mese scorso circolavano previsioni un po' più rosee, il problema dei tiraggi di Tesoreria da parte dei Comuni - oggi principali «imputati» dello sforamento del deficit - era già stato avvistato. Non è un caso che proprio il 23 dicembre ci fosse stata a Palazzo Chigi una riunione con Ciampi sulla finanza locale, in cui il rninistro del Tesoro aveva preannunciato il varo, con il decreto legge di fine anno, della norma-catenaccio sul tetto del 90% ai prelievi in Tesoreria degli enti locali, causando così, non certo volontariamente, il «pompaggio» di fondi per circa 5 mila miliardi da parte di Comuni, Regioni, Province e Usi. Ma a questo punto, è sterile il gio¬ chino delle responsabilità: la «manovrina» di primavera ci sarà e ci sarebbe stata comunque, per restare sotto al 3% nel rapporto deficit /Pil. Ecco allora perché sarebbe stato meglio non indulgere con troppo anticipo alla felicità e al facile ottimismo. E sarebbe stato anche meglio evitare le fragorose schermaglie con la Confindustria o le dispute sommesse con Bankitalia, entrambe un po' più caute sulle pro¬ spettive di rientro dal deficit e sulla crescita nel '97. Entrambe più preoccupate sull'eredità negativa della Finanziaria fatalmente troppo pre-elettorale del governo Dini, e sul ricorso insistente del nuovo esecutivo allo strumento fiscale e alle «una tantum», piuttosto che ai tagli di spesa e agli interventi strutturali. Questo, insieme all'assenza di un piano di rilancio dell'economia reale, ha spiegato la crescente insofferenza di Fossa; questo, insieme all'attesa per un esito auspicabilmente non inflazionistico della vertenza sui metalmeccanici, spiega l'ostinata resistenza del governatore Fazio nel ridurre i tassi ufficiali. Ma anche in questo caso il giochino del redde rationem - cui pure continua a prestarsi la sempre più miope opposizione del Polo - serve a poco. Quello che serve, oggi e nella prospettiva di un ulteriore «manovrina» in primavera, che sia di 15 o di 30 mila miliardi, è la chiarezza. Che ci siano risparmiati certe vetuste, indecorose e poco credibili «linee del Piave» da I Repubblica, quando si giurava che tutto era sot¬ to controllo, quando ai tempi dell'ultimo governo Andreotti il leader degli industriali Pininfarina denunciava gli squilibri nascosti della finanza pubblica e si sentiva rispondere dai de alla Donat Cattin e dai socialisti alla De Michelis uno «stai zitto, carrozziere»; o quando l'allora governatore Ciampi, censore delle «spese allegre» di quegli anni, si sentiva redarguire dai Craxi o i Pomicino con un «si occupi della lira». Per fortuna, la classe dirigente di oggi è migliore di quella. E l'Italia di oggi è distante anni luce da quella di allora. Ma nonostante questo non è ancora abbastanza vicina per tradizione storica, costume politico e rigore finanziario - alle grandi democrazie europee, alle quali si vuole giustamente aggregare con pari diritti nel gennaio del 1999. Il compito del governo Prodi, adesso, è percorrere questo tratto di strada, dicendo chiaro fin d'ora che il cammino è ancora molto faticoso. E soprattutto, che stavolta al traguardo non si arriverà a suon di stangate, ma eliminando dallo Stato Sociale sprechi e iniquità travestite da demagogiche uguaglianze, evitando di comprare il consenso sindacale a colpi di contratti inflazionistici nel pubblico impiego, liberalizzando i servizi, privatizzando le aziende pubbliche. Tutto questo - soprattutto per im esecutivo che finora ha spesso risolto le ambiguità del suo eterogeneo «imprinting» politico a beneficio di una Sinistra diciamo socialdemocratica, ina nel solco di ima tradizione tutta italiana piuttosto che nord-europea - è molto difficile. E può avere un «costo» politico molto elevato per la coalizione. Ma al punto in cui siamo non c'è alternativa: perché il «costo» sociale di un fallimento dell'obiettivo di Maastricht, se perseguito con le furbizie o le scorciatoie consociative del passato, sarebbe incalcolabile. «Questo Paese - ricorda spesso Ciampi, rievocando la svalutazione della lira del '92 - per scuotersi ha sempre bisogno del dramma». Ma sia lui che noi, questa volta, ne faremmo volentieri a meno. Massimo Giannini Gli Azzurri all'attacco contro enti locali e Usi No alle «linee del Piave» da I Repubblica quando De Michelis diceva a Pininfarina «Stai zitto carrozziere» e Pomicino redarguiva Ciampi: «Si occupi della lira» Qui sotto Antonio Martino accanto il ministro Ciampi e, a destra, Romano Prodi

Luoghi citati: Fossa, Italia