Manierismo, gli eroici «ghiribizzi»

Dai tormenti del Pontormo alla routine del Caravaggio: con la mostra degli Uffizi si riscopre una generazione «che volle strafare» Dai tormenti del Pontormo alla routine del Caravaggio: con la mostra degli Uffizi si riscopre una generazione «che volle strafare» Manierismo, gli eroici «ghiribizzi» L'età dell'oro per le eresie anti-classiche MFIRENZE ANIERISMO. E' possibile oggi ancora parlare di arte del Cinquecento, [aggirando quest'etichetta così di comodo, e fascinosa, eppure equivoca, dubbia7 Non tanto perché conservi ancora quella sfumatura dispregiativa, che per fortuna, nell'entusiasmo anzi delle avanguardie novecentesche, ha completamente perduto, semmai ribaltato. Ma perché troppi sono i significati che questa formula, eccessivamente sfruttata, ha dovuto subire. Ed aveva ragione Robert Rosenblum, quando occupandosi di categorie storiche, come quelle di Neoclassicismo, di Romanticismo e soprattutto di Manierismo, aveva parlato di imbarazzanti «camicie di forza semantiche, che è divenuto impossibile sia usare che abbandonare». Etichette di comodo utili, talvolta un poco generiche, ma alla fin fine frustranti, soprattutto quando si fa l'errore non di considerarle come delle funzionali categorie astratte, delle formule concettuali, ma delle realtà storiche, concrete: come se il Manierismo fosse una scuola, un indirizzo volontario e consapevole, congegnato da alcuni artisti. Per questo sono particolarmente propizie delle mostre di studio e di riflessione critica quale L'Officina della Maniera, in corso agli Uffizi, una mostra non tanto «spettacolo» (grazie anche al terribile allestimento) ma di avanzamento delle ricerche, da parte di valenti giovani studiosi, quali Antonio Natali, Alessandro Cecchi, Carlo Sisi, che rendono essenziale la previa lettura esplicativa del catalogo Marsilio prima della visita. E anche qui, con quel titolo scopertamente longhiano di Officina, si preferisce la formula pratica della Maniera (intesa, vasarianamente, come «maniera moderna») piuttosto che non il logoro cartellino psicologista di Manierismo (quasi un espressionismo avant lettre). Logoro per lo meno da quando Briganti con il suo saggio imprescindibile, e poi le analisi di Shearman e Smyth e il XX congresso di New York sotto la direzione di Gombrich (nei panni di un Kruscev del disgelo di quest'etichetta) e il lucido compendio di Antonio Pinelli La bella maniera uscito nel '93, il termine ha assunto ben altra chiarezza teorica. Il problema, ovviamente, non è soltanto quello molto dibattuto della datazione la più credibile per questa corrente di eccentrici e anti-classici; ma di decidere, in base appunto alla mobile cronologia, come si possano situare impunemente sotto l'ombrello capace dell'etichetta sinora passe-par-tout di Manierismo, istanze così diverse come l'irrequietudine tormentata e fumigante di artisti quali il Rosso, Pontormo e Beccatimi ed invece la routine cortigiana e sontuosa di freschisti pomposi e per nulla tormentati, quali Polidoro da Caravaggio, Poccetti, lo stesso Vasari: insomma i cantori ufficiali di Palazzo Vecchio. Ovvero anche una frattura geografico-epocale, tra i primi fiorentini stravaganti e misantropi e i retori-romani retour de Michel Ange. Quasi un'antitesi. La mostra, illuminando Varietà e fierezza nell'arte fiorentina del Cinquecento tra le due Repubbliche 1494-1530, ricorre appunto a due date storiche, per espungere fenomeni estranei e per fare chiarezza fra forestieri, eccentrici, scolari del Chiostro dell'Annunziata e fedeli alla tradizione «senza errori» della scuola di San Marco. In quell'età dell'oro che Pier Soderini, gonfaloniere «religioso, pietoso et senza vitii» sembrò regalare alla città, rosa dai rigori dei piagnoni che bruciavano le proprie opere in piazza (come Fra Bartolommeo), scossa dalle prediche terribili del Savonarola, logorata dall'agonia dei Medici. Appunto: dalla cacciata euforica dei Medici allo sfiorire dell'Ultima Repubblica, tra entusiasmi titanici e paure millenaristiche. Anni d'oro anche per le arti, ma segnati da progotti infelici: rimangono incompiuti la fabbrica della facciata di San Lorenzo, la Pala richiesta a Filip pino Lippi e poi a Bartolommeo per sacralizzare la sula-simbolo del Maggior Consiglio repubblicano e i due affreschi-vertice dell'epoca e davvero rivoluzionari nella loro incompiutezza (di cui non ci rimangono che i cartoni). La Battaglia di Anghiari di un Leonardo incapace di governare la materia d'affresco (e che sarebbe fuggito nella Milano francese) e la Battaglia di Cascina di Michelangelo, che dopo aver lasciato «con gran ro- mor dell'arte» alla città questo abbozzo «schuola del mondo», che tutti venivano a studiare, si rifugiò a Roma, presso Papa Giulio II. Quasi una maledizione del non-finito. Ed è proprio da questa «insorgenza anticlassica», per dirla con una celebre affermazione di Zeri, che prende avvio una simile generazione di artisti scossi e atrabiliari, sempre alla soglia del fumus haeresiae. Come scrive Vasari nelle sue prime Vite a proposito del suo maestro Pontormo: «Non avendo fermezza nel cervello andava sempre cose nuove ghiribizzando, investigando nuovi concetti e stra vaganti modi di fare, non si contendando e non si fermando in alcuno. La bizzarra stravaganza di quel cervello di ninna cosa si contentava giammai». Una scontentezza che non poteva che inquietare un artista che aveva deciso di trasformarsi nel cantore ufficiale e ossequiarne della corte dei Medici. Per questo, nella seconda edizione delle sue Vite la figura di Pontormo «come di chi vuol strafare e quasi sforzar la natura» è quasi rimossa, esorcizzata. Come bene scrive Pinelli, in questa nuova ideologia eroica e senza dubbi dell'artista impiegato di corte, instaurata dallo «storiografo aretino, trova dunque un primo terreno embrionale di coltura quell'interpretazione in chiave patologica del Manierismo, che tanta fortuna avrebbe goduto in seguito, in particolare nell'Ottocento positivista». Ma oggi l'impegno è proprio quello di leggere un simile nevralgico periodo senza gli occhiali preparati delle imbalsamate formule di comodo Marco Vallora V «etichetta» fascinosa che entusiasmò le avanguardie del '900 Ancheper Leonardo una «Battaglia» maledetta e incompiuta jf / Due celebri affreschi del periodo manierista rimasti incompiuti: la «Battaglia di Cascina» di Michelangelo e (sopra) un particolare della «Battaglia di Anghiari» di Leonardo

Luoghi citati: Anghiari, Caravaggio, New York, Roma, Zeri