La confessione a puntate dell'ex compagno di merende

Le armi, movente di due delitti IL GRANDE ACCUSATORE La confessione a puntate dell'ex compagno di merende SFIRENZE ILENZIO. E' rimasto così, con la bocca sigillata. Anni di silenzio. Difficile credere che siano stati anche anni di rimorsi. Forse ha tentato di dimenticare e magari c'era quasi riuscito a buttarsi dietro le spalle certi fantasmi e certi ricordi. Se non ce l'avessero costretto di sicuro non avrebbe rotto la regola che si era imposto. Giancarlo Lotti ha 57 anni, seri problemi psichici e un passato che fino a qualche tempo fa appariva incolore. Lo chiamano «Katanga», «Garibaldi», «Rampino». Vive a San Casciano, che è un paesone a pochi chilometri da Firenze, fra la vai di Pesa e la vai di Greve, nei dintorni del quale ha vissuto anche Pietro Pacciani, condannato eppoi assolto per essere il «mostro di Firenze», e dove vive Mario Vanni, detto «Torsolo», il postino amico del Pietro e, secondo l'accusa, suo complice. Se davvero esiste una banda della Beretta e ne ha fatto parte, lui deve aver pensato di essersela cavata. Interrogavano tutti, anche il Pacciani. Anzi, il «Vampa» era finito dentro. E lo avevano anche condannato. Ma a lui non c'erano arrivati. Eppure, c'era chi aveva raccontato di aver visto «un'auto rossa» subito prima o subito dopo i duplici omicidi. Ma quante ce n'erano di auto rosse9 Gon la condanna del Pietro l'affare sembrava chiuso. E invece non lo era. C'erano quei suoi amici, il Vanni, per l'appunto, e il Faggi, che chiamati a deporre avevano lasciato una pessima impressione. E le indagini erano riprese. Ma quelli di San Casciano, spontaneamente, forse non avrebbero mai raccontato niente. Così, do¬ po averle messe in casa al Pietro, venne deciso di mettere delle «cimici» anche nel bar principale del paese perché, come ha ciotto qualcuno, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca. E un giorno «Katanga», che dilapidava il suo tempo al bar, fu chiamato al telefono da un amico. Uno che la sera del 9 novembre '85 aveva visto la 128 scarlatta presso la piazzola degli Scopeti dove erano stati truci¬ dati Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, ultime vittime del «mostro». Uno che era curioso ma che si era guardato bene dali'andar a raccontare i propri sospetti ai carabinieri. «Quella macchina, era la tua?». «Sì. Non ci si può fermare neppure per pisciare?» Ecco, lo avevano individuato, l'indagine era ricominciata in quel momento. Lotti prima negò, poi assentì: sì, si era fermato lì, ma, maledizione!, non sapeva nulla e non aveva visto nulla. Più tardi ammise: «Ho visto che li ammazzavano». Non era solo, lo accompagnava Fernando Pucci. Insieme avrebbero dovuto deporre davanti alla corte d'Assise d'Appello che giudicava il Pietro. Presentati quasi fuori tempo massimo, nascosti sotto gli pseudonimi di «teste Beta» e «teste Alfa», furono rifiutati. E allora il Lotti tornò a confidarsi con gli uomini della Sani, la squadra anti mostro. E con il sostituto procuratore Paolo Canessa, che con abilità maieutica gli ha tirato fuori una storia straordinaria e francamente difficile da accettare. Eppure, gli indizi si sommano. Come spettatore casuale non aveva assistito soltanto al delitto degli Scopeti, fu la seconda ammissione. Poi, e fu la terza confessione, raccontò che quella sera in cui ammazzarono i due ragazzi francesi lui aveva fatto il palo Eppoi, la quarta: «Individuavo le coppiette da colpire». Infine: «Ho sparato anche io». Sì, lui pure, ha detto, era uno che nel gruppo contava qualcosa. Quel gruppo era formato dal Pacciani, che era il capo, quello che sparava con quella Beretta calibro 22 armata con proiettili «long rifle» che nessuno ha visto, mentre il Vanni usava il coltello e mutilava i corpi delle ragazze. E lui assisteva da lontano, perché qualcuno doveva pur rimanere di guardia per non venir sorpresi. Un crescendo di ricordi. «Pacciani mi minacciava», e anche Vanni gli aveva detto di non aprir mai bocca, «su quelle cose». «Ma io 'un so niente, 'un lo conosco nemmeno, quel pazzo, quel velenoso», urla ora il Pietro, che teme lo scatto della tagliola. E ripete: «Le persone dell'accusa sono pagate». Lotti, forse, non lo sa neppure quello che dice di lui Pacciani. Da quando era un testimone, lui ò stato posto sotto protezione, il che significa che vive separato dal mondo, anche ora che non è più considerato «persona informata sui fatti» ma complice della banda composta dagli «amici di merende», [v. tess.] La svolta scatena la rabbia di Pietro «Le persone dell1 accusa sono pagate Io neppure conosco quel velenoso» BSSM Il furgone In cui vennero trovati i cadaveri dei due turisti tedeschi uccisi la notte del 9 settembre del 1983 Jens Huwe Ruesh e, sotto, Horst Meyer: avevano entrambi 24 anni

Luoghi citati: Firenze, San Casciano