Il boia cinese imita gli Usa
Un provvedimento passato di nascosto alle 6 del mattino di Santo Stefano Bandito il colpo alla nuca, restano le 4 mila condanne annue il boia cinese imito gli Usa D'ora in poi esecuzioni con la siringa L'IMPERO TOTALITARIO UN'IMMAGINE vale diecimila parole» ricorda un proverbio cinese. E così la scenografia era sempre la stessa: il gruppo dei condannati, a capo chino, trasportati lentamente per le vie della città su un camion arrugginito, perché questo monito ambulante restasse bene negli occhi dei passanti. Poi in una radura fuori mano o nel cortile di una caserma il frettoloso fotomontaggio del macabro finale: gli uomini della «Gong'anju», la onnipotente polizia, incaricati dell'esecuzione, i condannati in ginocchio, una revolverata alla tempia. Ultimo tassello: la burocratica richiesta di risarcimento spese inviata ai parenti del condannato (pallottola compresa) e giustizia era fatta. Feroce e didattico, tartaro e confuciano, il rito delle esecuzioni è diventato, purtroppo, una sigla della Cina di Deng. Fino a ieri: le sottili sinuosità dei signori della Città proibita hanno deciso una nuova «modernizzazione». Niente più boia armati e schizzi di sangue, con l'entrata in vigore del nuovo codice i criminab saranno giustiziati con la asettica modernità di una iniezione letale Come nei civilissimi Stati Uniti, che così non potranno, a meno di perdere la faccia, insistere nella fastidiosa litania della violazione dei diritti umani. Lo scorso anno il meccanismo della giustizia «vecchia maniera» ha funzionato (secondo stime sicuramente al ribasso) almeno quattromila volte: tanti sono stati i «criminali» caduti sotto la sbrigativa mannaia dell'operazione «Yanda» (pagare duro). L'ennesima campagna per ripulire il miracolo cinese dell'antiestetica macchia della criminalità è partita in aprile; via via che si avvicinava il primo ottobre, data della festa nazionale, il ritmo delle esecuzioni è diventato forsennato: per dimostrare anche ai più inquieti roditori della impe- % riale stabilità che l'implacabile diritto comunista-confuciano ha ruote bene oliate. Tradizionalmente, spenti i riflettori della festa, il boia cominciava a rallentare il ritmo; questa volta il crescendo è stato inarrestabile: serial killer e semplici ladri d'auto, tangentisti e spacciatori di droga; nella provincia meridionale dello Yunnan sono finiti davanti al plotone di esecuzione perfino alcuni bracconieri. Prima dell'89, prima della rivolta di Tienanmen (e non è una coincidenza) i delitti passibiM di pena capitale erano una quarantina, oggi sono più di 65. Il nuovo codice «modernista» non porterà solo esecuzioni nel clùuso dei penitenziari e boia con guanti da chirurgo. Sono previsti anche terroini entro cui la polizia, oggi onnipotente, deve formalizzare l'accusa o liberare il sospettato. In teoria. In Cina per le leggi vale la stessa regola della politica e dell'economia: c'è il liberismo ma non c'è la libertà. I sedici milioni di «ospiti» rinchiusi nel formicaio del gulag di Deng (quello russo non superò mai i dieci milioni) allindi hanno pochi motivi di speranza. La potente Cina del Duemila raschia le dorature più vistose del suo totalitarismo, ma resterà, come recita l'ultimo rapporto di Amnesty, «il regno dell'arbitrio». Domenico Quirìco Col nuovo codice penale viene meno anche la tragica beffa ai parenti cui si chiedeva di pagare la pallottola Un condannato alla pena capitale nella Cina di Deng Xiaoping
Persone citate: Deng Xiaoping, Domenico Quirìco
Luoghi citati: Cina, Stati Uniti, Usa
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