MORTO MARX VIVE IL CAPITALE
MORTO MARX VIVE IL CAPITALE MORTO MARX VIVE IL CAPITALE Un «Requiem» squilibrato ERA una volta il mito Marx: chiunque parlasse non dico di politica ma anche di fumetti, danza o storia delle religioni doveva ade- f;uarvisi e, siccome era buona abitudine non leggere l'originale, 'ortodossia si dimostrava gridando più forte degli altri ed esprimendosi con maggior sicumera. C'erano poi quelli che al mito venivano crocifissi: opportunisti e revisionisti, utopisti e socialdemocratici, che in circostanze fortunate se la cavavano con una scomunica e altrimenti dovevano gestire un proiettile nella nuca. Adesso il mito è tramontato; così, dopo una lunga litania di sciempiaggini di un colore, ci tocca ascoltare quelle del colore opposto. La gente spesso è la medesima: i pentiti, si sa, sono logorroici, devono spiegare per filo e per segno i dettagli del loro cosmico errore, e intanto continuano a occupare spazio, e a sprecarlo. Dove è andato a finire il sano, «borghese» riserbo? Frank Manuel è un americano novantenne, storico delle idee, professore in pensione della New York University e della Brandeis University, autore di libri su Newton, SaintSimon e l'Illuminismo. Ricorda di aver avuto il suo primo contatto con Marx «quando suo padre lo portò, all'età di sette anni, a un congresso sindacale a Boston» e dichiara che «nei decenni successivi ha trascorso ben poco tempo senza studiare almeno uno degli scritti di Marx, o senza esaminare un saggio o un libro a favore o contro le sue tesi». Non è chiaro a che cosa gli sia servita tanta dedizione: sebbene ammetta che il suo non è «l'ultimo requiem» per Marx, il tono funerario è opprimente e il risultato si chiude sull'«alienato di Treviri» come una pietra tombale. Senza simpatia, senza comprensione, senza nemmeno manifestare un genuino interesse. Il libro di Manuel è come uno di quei film su Mozart o Ciaikovskij in cui questi ultimi vengono dipinti soltanto come patetici e svitati e alla fine ci si chiede perplessi perché a qualcuno sia venuto in mente di fare un film su gente simile. Veniamo a sapere che Marx si vergognava della madre e che, «attraverso un'alchimia che possiamo comprendere solo in parte, la vergogna si tramutò in disprezzo di sé». Che la sua ambivalenza nei confronti delle proprie origini ebraiche spiega come «il marxismo si sia rivelato incapace di fronteggiare i problemi posti dall'appartenenza etnica». Che aveva un pessimo carattere, iroso, autoritario ed egocentrico: sprecava tempo prezioso nel controbattere pedantemente nemici dottrinari più o meno reali (e credibili), si dilettava con l'amico Engels di battute da caserma e scritti pornografici, tesseva trame machiavelliche per assicurarsi il controllo di un'organizzazione rivoluzionaria fatiscente. Che sapeva essere «cinico e vile», come quando evitò di riconoscere un figlio illegittimo e anzi permise che Engels se ne attribuisse la paternità. Di fronte a siffatte miserie, è dunque naturale chiedersi se valesse la pena di scriverci un libro su. Il losco individuo di cui ci è offerto un ritratto così impietoso ha avuto un enorme influsso sulla storia di questo secolo; ma se il suo «segreto» si riduce all'essere un ebreo errante e un figlio degenere, un personaggio ipocrita e megalomane, allora quell'influsso non ha una vera giustifica¬ zione, segue ciecamente delle leggi statistiche di un mondo dominato dal caos. Guidati da questa domanda, tentiamo una congettura. Forse Manuel non ha scritto un epitaffio per Marx, ma per quanti (come lui stesso?) lo hanno usato a sproposito. Forse il mito doveva essere cancellato perché potesse cominciare la lettura. Nel nome di Marx si sono compiuti crimini orrendi, né più né meno che nel nome di Hitler; ma II capitale non è il Mein Kampf e la teoria del plusvalore ha ben altra complessità e ricchezza della «tesi» della superiorità della razza ariana. Finora però è stato impossibile, per i fedeli, di¬ scuterne nel merito, citarne serenamente prò e contro, evocarne e articolarne le alternative teoriche; gli oppositori, dal canto loro, hanno ostentato perlopiù un assurdo disprezzo. Quando i tormenti emotivi saranno passati, quando sarà calato il sipario su chi, per far pace con suo padre e con i suoi sette anni, ha bisogno di chiamare in causa il padre e i sette anni di Marx, forse il bagno d'ignoranza potrà cessare e sapremo aprire con calma le pagine di quel maestoso capolavoro di cui tanti hanno preferito per troppo tempo una «conoscenza» per sentito dire. Ermanno Bencivenga L'americano Manuel liquida luomo, un «ebreo alienato», rancoroso e cinico, ma non spiega, perché la sua opera resti ancora fondamentale Karl Marx come Prometeo: allegoria della soppressione della frenisene Zeitung, 1844; sotto l'ultima foto ad Algeri nel 1882 (da «Marx. Biografia per immagini», Editori Riuniti) REQUIEM PER MARX Frank E. Manuel trad. di Roberto Giannetti /'/ Mulino pp.3ll,L 32.000
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