MACARIO, GIU' DALLA LUNA di Bruno QuarantaErminio Macario

MACARIO, GIU' DALLA LUNA MACARIO, GIU' DALLA LUNA MACARIO UN COMICO CADUTO DALLA LUNA Mauro Macario Baldini & Castoldi pp. 327 L. 30.000 O vedi come sei!». Fioccano le odi a Macario, l'ultima maschera d'Italia, scomparsa nel remotissimo 1980, eppure sempre affiorante, riaffiorante, eco inossidabile qual è di un certo modo di stare al mondo. Fra bonomia (che non è sprovvedutezza) e «cattiveria», la cattiveria subalpina identificata da Stendhal, ovvero l'assoluta diffidenza verso gli uomini e le cose, ma nell'attore col ciuffo mille volte temperata, ammansita. Commendator Errriinio. Raccontato quasi a briglia sciolta da Maurizio Tarnavasio (Vita di un comico, Lindau, pp. 183, L. 20.000, utilissime le appendici: riviste, commedie, film, soubrette); evocato sul filo di un'ammirazione composta, di una tenerezza mai svenevole, dal figlio Mauro (Un comico caduto dalla luna). Esordì nei dintorni di Porta Palazzo, Macario, in una via che resiste nell'istantanea di Gabinio, fotografo optimus. «Il fatto di essere nato in una mansarda - sofficemente gigioneggiava - mi fa appartenere di diritto ai quartieri alti». E di lì discese, verso l'applauso Come Petrolini qverso l'applauso. Come Petrolini avrebbe potuto dire (e forse lo disse): «Io discendo dalle scale di casa mia». Si fece da sé, di copione in canovaccio, felicemente inventando. Era un saltimbanco (non paia irriguardoso), destinato quindi ad allevare un sogno che tale rimarrà: «restaurare» i grandi clown, riproporne gli antichi numeri, le smorfie a luna piena, le giravolte extragravitazionali, il vocabolario bum bum, di un surrealismo qua e là keatoniano. Macario è il nome che - appena sillabato - d'incanto ricompone platee e gallerie divorate dal tempo, richiama in scena, da camerini canforati, prime donne, donnine e «spalle», restituisce lo spartito a orchestre anchilosate, impolverate. Dove sono Isa Bluette e Wanda Osiris, Tina De Mola e Nelly Welbi? Dov'è finita la «Valigia delle Indie» di Ripp e Bel Ami e dove si nascondono le «Gatte di lusso»? Dove si recita ancora «Le finestre sul Po» e «Undess s'na rama»? Dove si proietta «Imputato, alzatevi!» e «L'innocente Casimiro» e «Due sul pianerottolo»? La risata. Macario ne fu il de- miurgo, l'ambasciatore, l'esteta. La accendeva solo apparendo. Ma dietro queir «apparire» stava una disciplina ostinata. «Anche "in prova" - lo osservò Giovanni Arpino nella bomboniera di via Santa Teresa, a Torino, l'ultimo teatro, zeppo di spine - Macario è Macario, anzi è quattordici volte Macario, perché ai quattordici uomini e donne della compagnia ripete ogni parte, ogni movimento, giù uno schiaffo su quella manina che sta troppo alta e artificiosa, via quel passo che deve risultare più naturale, non girarti mai da destra a sinistra...». Universale, il «dialettale» Macario. Il figlio Mauro ricorda una serata parigina, la visita di Jean Renoir dopo lo spettacolo, l'elogio del regista di «Nana» al padre: «Per fare un film mi basterebbe una strada, im carretto e te». Forse il signor Erminio «vide» le stradine dell'infanzia, i ciottoli, i fili d'erba, chissà: le fiammiferaie a occhi spenti. Non nascondeva forse, sotto la cipria, una malinconia araldica, chapliniana? Bruno Quaranta Erminio Macario: due libri ricostruiscono la parabola del comico torinese MACARIO UN COMICO CADUTO DALLA LUNA Mauro Macario Baldini & Castoldi pp. 327 L. 30.000

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