BIANCHI: COME VEDERE IL CIELO TRA GLI UOMINI di Enzo Bianchi

BIANCHI: COME VEDERE IL CIELO TRA GLI UOMINI BIANCHI: COME VEDERE IL CIELO TRA GLI UOMINI ALTRIMENTI. CREDERE E NARRARE IL DIO DEI CRISTIANI Enzo Bianchi Pìemme pp. 182, L 24.000 L titolo di questo nuovo libro di Enzo Bianchi, Altrimenti, fa pensare a due altri enunciati: la formula rabbinica davàr achèr, «altra interpretazione», usata nelle discussioni ermeneutiche per ricordare che c'è sempre un di più rispetto all'enunciato autoritativo, con pretesa di assolutezza; e il titolo di un libretto di padre Bernhard Hàring, Perché non fare diversamente? Bianchi, scrivendo sul «Credere e narrare il Dio dei Cristiani» (è il sottotitolo del libro), ci aiuta a conservare o ad acquisire la grazia dell'altrimenti, per liberarsi «da quel clima di paura che ancora oggi sembra regnare nella compagine ecclesiale, un clima di pavidità e di acquiescenza che è la più diretta sconfessione della parresia, cioè della «franchezza evangelica» (p. 9), affinché «il dibattito e la critica evangelica siano accolte come dono, non come minaccia» (p. 10). (Ci sia concesso di osservare che proprio la prassi dell'«altra interpretazione» ha salvato l'ebraismo dalle miriadi di eresie che affliggono il cristianesimo). Il libro di Bianchi comprende trentasei brevi capitoli, oltre a un prologo e un epilogo, ed è divi¬ i ii ll gso in tre sezioni: nella compagnia degli uomini; credere e narrare il Dio dei cristiani; Ecclesia semper reformanda. E' un procedere in certo senso a spirale, che da tematiche universalmente umane passa a quello che chiamerei il problema della revisione di Dio (nel senso etimologico di correggere il nostro modo di «pensare» Dio, di stare al suo cospetto), per giungere infine a una riflessione sulla Chiesa. La quale è qui punto di arrivo non perché sia poi così importante come credono i suoi «gestori», ma perché può essere, in certi momenti, il luogo dove un cristiano può non già incontrare Dio, ma perderlo. Perché il let¬ tore non creda che il discorso di Bianchi sia una puntigliosa polemica alternata a una morale omiletica, ma invece una serena e severa conversazione con i lettori - non necessariamente cristiani o credenti - si vorrebbe citare largamente alcune delle sue considerazioni più puntuali, originali e stimolanti, ma si dovrebbe citare tutto il libro. Esemplifichiamo almeno dalle tre sezioni dell'opera alcune piste. La pista antropologica: «L'attesa è l'elemento antropologico essenziale: l'uomo è attesa. Ogni relazione e ogni azione umana trovano nell'attesa, intesa da un lato come spazio fatto all'altro e alla sua libertà e dall'altro come fondamento e finalità dell'azione, la loro possibilità. Forse è significativo... osservare come al mito messianico (crollato con il fallimento dei messianismi secolari), nutrito di attesa e utopia, si sia sostituito come paradigma vincente nel panorama culturale odierno il mito di Narciso. E ciò che è impossibile a Narciso è appunto l'attesa» (pp 43-44). O si legga il bellissimo capitolo 8, «L'uomo e gli animali» (a questo tema Bianchi ha dedicato un libretto, con antologia di Padri, Uomini e animali), che si inserisce nella più vasta riflessione definibile, con il titolo di un altro capitolo, «Simpatia con il creato». Nella seconda parte, si prendono le mosse dalla domanda cruciale «Chi è il cristiano?» per affermare che per lui (ma anzi, per tutti) «l'identità è un vero compito spirituale», ma guai se si tratta - come spesso nella società civile e religiosa - di «un'identità fabbricata contro gli altri, ricercata solo per fare apologia a spese degli altri, negando agli uomini non cristiani qualsiasi capacità di quell'etica di cui si sente tanto bisogno» (pp. 62-63). Il cristiano è definito da Bianchi con la massima «quaerere veritatem in dulcedine societatis» (ivi). Ecco perché di cristiani ce n'è così pochi: «Sì, gli uomini sono pronti a essere religiosi, ma lenti a credere...» (p. 66). Gli ultimi sei capitoli della terza parte sono proprio una spietata autocoscienza di ciò che nella Chiesa è «religione»: qui l'autore, con una libertà e una efficacia di cui non lo ringrazieremo mai abbastanza, punta il dito contro l'accoppiamento verità-violenza, contro la «dimenticanza... del "non ancora" della verità» (p. 145), contro la spettacolarizzazione della fede («Se questi assembramenti o raduni, voluti anche come spettacoli, siano fedeli alla logica dell'Evangelo o invece la smentiscano, è questione non di poco conto per un credente», p. 153), contro l'idea di progetto culturale (un vero progetto culturale richiede fra l'altro una «rottura con la tentazione di voler parlare sempre per primi e controbattere immediatamente», p. 161), contro la partecipazione, da parte della Chiesa, del potere imperiale, «con una visibilità e una eloquenza perseguite a ogni costo» (p. 172), mentre la sua vocazione profetica emerge proprio quando questo potere non ce l'ha, anzi esso la opprime. La parresia è sempre stata un carisma dei monaci, ed Enzo Bianchi è un monaco. Cioè un uomo fuori e dentro il mondo: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?», dicono gli angeli agli apostoli che vedono Gesù ascendere tra le nubi (Atti 1,11). Bianchi non guarda il cielo (come si vede anche dalla sua foto in quarta di copertina, da conservare per il giorno della sua improbabile beatificazione), perché il cielo è tra gli uomini. Tra gli uomini, non tra i cristiani: perciò questo libro ha qualcosa da dire anche a chi non è cristiano, perché tanti sono i modi di essere un vero uomo al cospetto di Dio. Paolo De Benedetti Enzo Bianchi priore della Comunità ecumenica di Bose ALTRIMENTI. CREDERE E NARRARE IL DIO DEI CRISTIANI Enzo Bianchi Pìemme pp. 182, L 24.000

Persone citate: Bernhard Hàring, Enzo Bianchi, Gesù, Paolo De Benedetti