Gli ostaggi: «Usati come scudi umani» di Fabio Galvano
Gli ostaggi: «Usati come scudi umani» SANA'A Polemica sul blitz: i predoni hanno cominciato a uccidere dopo l'attacco dell'esercito Gli ostaggi: «Usati come scudi umani» Yemen, dopo la strage liberati 4 turisti tedeschi LONDRA DAL CORRISPONDENTE Il Foreign Office smentisce categoricamente le voci secondo cui ci sarebbe la mano di Osama Bin Laden, il miliardario di origine saudita considerato padrino del terrorismo fondamentalista musulmano, dietro il sanguinoso massacro di turisti nello Yemen. Ma le polemiche, prevedibilmente, divampano dopo la morte dei quattro ostaggi - tre inglesi e un australiano - uccisi martedì nell'assalto dell'esercito yemenita ai loro rapitori. E mentre si discute chi li abbia uccisi - se i militari sparando all'impazzata o i sequestratori, e in questo caso se prima o durante lo scontro a fuoco - dal Nord dello Yemen si è avuta la buona notizia, poi confermata a Bonn, che i quattro ostaggi tedeschi rapiti il 6 dicembre nella provincia di Marib sono stati liberati incolumi dai loro sequestratori. In serata i quattro - tre donne e un uomo - hanno raggiunto la capitale Sanaa: potrebbero rientrare in Germania nelle prossime ore. Rientreranno invece domani i superstiti del sanguinoso attacco di al-Wade'a, il villaggio della tribù Al-Fadl nella provincia di Abyan, poco distante da Aden. Sono otto inglesi e due americani. Altri due rimarranno probabilmente nell'ospedale di Aden dove sono stati ricoverati in gravi condizioni e sottoposti già martedì a intervento chirurgico. Sono un australiano e una donna inglese: Claire Marston, docente di contabilità all'università di Newcastle e moglie di Peter Rowe, 60 anni e professore di matematica all'università di Durham, che è uno dei quattro morti. Ieri è stato reso noto il nome anche delle altre due vittime inglesi, due donne: Ruth Williamson e Margaret White- house, rispettivamente di 34 e di 52 anni, che secondo uno dei sopravvissuti sono state uccise «per vendetta» dai rapitori prima di fuggire. Eric Firkins, 55 anni, professore di chimica a Londra e uno dei superstiti, ha detto ieri che la sanguinosa battaglia è stata aperta dalle forze governative e non dai rapitori. Solo dopo l'attacco, ha precisato, i sequestratori hanno puntato le armi contro gli ostaggi e hanno cercato di servirsene come scudi umani. La sparatoria, ha aggiunto, è durata circa due ore: per tutto quel tempo gli ostaggi sono rimasti a terra, per evitare le pallottole. La sua testimonianza contrasta con la versione ufficiale fornita dal governo dello Yemen, secondo cui l'attacco era stato deciso quando i rapitori avevano già cominciato a uccidere gli ostaggi. «La sparatoria - ha raccontato il professor Firkins dal Moevenpick Hotel di Aden, dove alloggia con gli altri superstiti - è cominciata mentre ci stavano portando verso un nascondiglio nelle montagne. Prima abbiamo sentito colpi di arma da fuoco, poi ho visto uccidere una delle donne». «Ci siamo trovati al centro di una battaglia - ha osservato un altro ostaggio, Brian Smith - senza armi e senza nessuna esperienza militare. Ci hanno usati come scudi umani, poi ci hanno detto di stare bene in vista con le mani alzate; ma a un certo punto siamo riusciti a ripararci dietro un terrapieno». «Il momento peggiore - ha detto il professor Firkins - è stato quando mi sono trovato con la canna di un fucile puntata sul petto. Ho detto: 'No, no, no'. Mi è andata bene». Resta confusa, invece, l'eventuale matrice politica. Il Foreign Office stesso, a parte la smentita su Bin Laden, ha preso le distanze: «Per quanto ci risulta - ha detto un portavoce - non esiste prova che quest'atrocità sia collegata a qualsiasi regime fondamentalista o di altro genere dell'Islam». Viene il sospetto che possa essere stata nulla più che una «bandiera di convenienza», cioè un modo per esercitare più pressione sul governo, l'appartenenza dei rapitori alla Jihad islamica, di cui aveva dato notizia martedì il capo della polizia di Abyan e che è stata ribadita ieri in un comunicato dell'ambasciata yemenita a Londra. Resta la domanda di fondo. Perchè l'attacco e non il consueto, lungo e - in passato - sicuro negoziato? Sia l'ambasciatore britannico, sia quello americano avevano invocato una trattativa, chiedendo che non fossero intraprese operazioni militari. Ma il governo di Sanaa ribatte in un comunicato: sono stati i rapitori - 13 di loro, arrestati, rischiano ora la pena di morte - a rifiutare il dialogo: «Le forze di sicurezza sono intervenute per prevenire altro spargimento di sangue». Fabio Galvano Brian Smith uno degli ostaggi nello Yemen racconta la sua liberatone in un albergo di Aden
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