JUUETTE GRECO urlo per la vita

JUUETTE GRECO urlo per la vita Intervista alla musa ribelle della canzone francese che, a 73 anni, torna alla ribalta con un nuovo disco JUUETTE GRECO urlo per la vita PARIGI. Juliette Greco, la musa ribelle della canzone francese, la divina maledetta di quella Saint-Germain-Des-Prés che non esiste più, compirà 73 anni nel 1999 ma è ben lontana dall'abbandonare l'attività. A cinque anni dall'ultimo album, semplicemente «Juliette Greco», è appena uscito un nuovo disco, «Un jour d'été et quelques nuits...» i cui testi portano la firma dell'uomo di teatro e sceneggiatore Jean-Claude Carrière e sono tradotti in musica da Gerard Jouannest, marito della Greco e pianista che ha firmato alcune delle più belle canzoni di Jacques Brel. L'opera ha venduto 20 mila copie in soli quattro giorni. Un libro di fotografie, poi, segue il suo percorso umano e professionale dalla fine degli Anni Quaranta fino al 1997; e l'artista si prepara a una serie di concerti al Théàtre de l'Odeon, in maggio. In questa rara intervista, la diva racconta il suo mondo, gli ideali e le passioni. Che cosa le sta particolarmente a cuore, di questo nuovo disco? «Ci sono canzoni come "Train de nuit", che rappresentano un dovere della memoria. Molti ragazzi non sanno nulla di campi di concentramento, di nazismo e di estrema destra. Quando Pinochet era al potere in Cile, avevo incontrato a Parigi alcune donne i cui figli e mariti erano stati uccisi: gente, anche, che era stata torturata e che non poteva più canuninare. Avevo cantato in Cile nell'81, in una sala strapiena di ufficiali e militari con le loro signore: si somigliavano tutte, in Chanel o Hermes spesso falsi, stessi gioielli, stesso colore di capelli. Quando abbiamo visto questo pubblico, con il collega Jouannest abbiamo intonato "I cimiteri militari", e altri pezzi severi che nel nostro repertorio certo non mancano. Sono entrata in scena trionfalmente, sono uscita in un silenzio di morte: è stato imo dei più bei successi della mia vita». Le è stato rimproverato all'epoca di aver cantato in Cile? «Con quale diritto? Non ci sono equivoci, con me. E bisognerebbe proprio essere sordi, per non accorgersi che la faccenda continua. L'autunno scorso, Pinochet si è avviato ad ascoltare una sentenza che lo riguarda, dopo aver portato migliaia di persone a morire nelle fosse comuni. E' stato un momento di pura gioia, di fortuna. Abbiamo visto che ha dei buoni avvocati, lui, ma attendiamo con impazienza che giustizia sia fatta. Quando si fa del male così, bisogna essere puniti». Non concede diritto al pentimento? «Tutto il mondo chiede perdono, perfino Bill Clinton. E' per questo che ho abbandonato la religione cattolica, la confessione mi sembrava spaventosa: un Pater e tre Ave e ti liberi di tutti i tuoi peccati! E' spudorato, tutto ciò. In più, il tipo chiuso nel confessionale che ti dà l'assoluzione è estasiato dal fatto che gli si raccontino porcherie. Se Dio esistesse, ne uscirebbe umiliato quanto un pidocchio. Ci vuole dignità, ed è in nome della dignità umana che bisogna battersi contro la disoccupazione che umilia: un problema, questo, ben più urgente del pentimento. E poi, pentirsi di che? Di aver eiaculato sopra un vestito blu marine? E brava la mamma che l'ha conservato, straordinaria. Un tipo raccomandabile». Come stanno le donne oggi, secondo lei? «Sono stanche. Torniamo a tempi strani, in cui le donne perdono la loro forza. Dopo tanto sgobbare, stanno pensando che sarebbe meglio restare a casa a ricamare, o a fare una vita un poco più "lussuosa". Che ritornare alla condizione di sposa sarebbe meno spossante: è un ragionamento cattivo, inquietante. Ma questa società non è fatta per loro, ancora. La donna comune è eroica, prepara la colazione per tutti, lavora fuori casa, stira cucina pulisce. E quando poi Monsieur rientra, bisogna essere anche un poco puttana. Adesso poi finiranno per addormentare le donne che non hanno una cultura sufficiente per essere assunte; anche la cultura delle donne però è un problema, sono state scartate troppo a lungo, chiuse in casa: tutto ciò ritoma, e anche i mariti più buoni hanno l'occhietto socchiuso del dominatore che aspetta di uscire dal nascondiglio». Il suo album precedente era stato scritto da Etieime RodaGil, rosso, anarchico, catalano. Questo invece da Carrière, uomo di teatro e cinema, più saggio. «Etienne è un urlo. Abbiamo un legame molto forte, è vicino alla mia parte rivoluzionaria ed attiva. L'universo di Carrière è evidente, ha una sorta di calma orientale. Lo si capisce in "La porte du jour", una canzone d'amore voluttuosa, un omaggio a Sadi. Ma anche questo disco è un urlo, contro il disprezzo dell'ecologia, per esempio. Stiamo sporcando il nostro piccolo caro pianeta in nome del profitto: una cosa orrenda. Ho conosciuto Carrière quando vivevo da poco con Michel Piccoli: Carrière racconta di avergli chiesto di portare Juliette Greco a cena a casa sua, perché veniva sempre ad ascoltarmi. Poi ho letto una sua raccolta di poesie, "Chemin faisant", e l'ho amata, l'ho data da musicare a Gerard Jouannest che vi si è immerso: adesso canto quei poemi con un piacere totale. "Un jour d'été et quelques nuits" è un disco-libro, con un accompagnamento (Fran- gois Rauber), una melodia (Jouannest), una scrittura (Carrière) e una voce. E' armonioso così e l'ho voluto avvolto nella carta e non nella plastica: spero che lo leggano. La fotografia di copertina è stata fatta da Irmeli Jung a Saint-Tropez, in una primavera frescolina; c'erano esposizioni di sculture su tutte le spiagge. E' una foto surrealista, evocatrice di femminilità e violenza... quella piccola formica nerastra, appoggiata su un grande coltello finto, con un sorriso abbastanza radioso... mio padre era còrso, e io sono nata con un coltello virtuale in mano. Questo della foto è piantato nella sabbia come una minaccia, io però spero che la presenza della donna cancelli la parte terribile, la lama». «Un jour d'été» è una canzone costruita come un film, «La réponse du roi» è un racconto: «Un re dell'Hindoustan, per un crimine senza dubbio infame, fu punito dagli dei, e molto severamente visto che fu trasformato in donna...». «Il re ha assunto una veste femmi- nile. Egli sa che, nell'atto d'amore, fra l'uomo e la donna chi conosce di più il piacere è la donna ("...E' anche, dice il re, un piacere così possente che anche le dee ce lo invidiano, è più alto del cielo, più dolce dell'oceano, è la gioia stessa della vita..."). Jean-Claude Carrière è un affabulatore e un grande visionario. Vedo trasformarsi la canzone ogni '■ volta che la canto, con odori e colòri differenti, il sale, il mare, il calore del sole, la sabbia che raspa, la morte. E' crudele. Vedo tutto, io. Lo conosco bene lui, io. I suoi occhi sono blu, disperatamente blu, di tutti i blu del mondo. Mai blu nello stesso modo: si incupisce, si rischiara. Si direbbe un film di Franju, "Les yeux sans visage"; un paio d'occhi con un dramma intorno. Io ho creato questo dramma in pubblico, all'Olympia, nel '93». Il palcoscenico è sempre importante, per lei? «Dò sempre tutto di me stessa, sono completamente aperta. In me c'è una bambina intatta; so che cosa significa "darsi". Dicono che mi sono sprecata; ebbene sì, mi sono sprecata e data a gente che non conosco e che non è nessuno. A quest'accumulazione di sguardi, di respiri, di cuore. Sul palco, Brel adorava essere devastato. Io, adoro essere devastata». Veronique Mortaigne Copyright «L e Monde»-«La Stampa» «Un jour d'été et quelques nuits...» vende 20 mila copie in quattro giorni «E'quasi un libro da leggere con l'accompagnamento» «Mi ricordo quella sera che cantai da Pinochet: entrai in trionfo sono uscita in un silenzio di morte Amo essere devastata dal pubblico» Una foto recente di Juliette Greco e, a destra, un'immagine del passato

Luoghi citati: Cile, Parigi