Così finisce l'avventura della lira

Così finisce l'avventura della lira Un'epopea cominciata con Carlo Magno. e l'Italia divenne la patria dei banchieri Così finisce l'avventura della lira Cipolla-. «Da sola sarebbe andata a fondo» PAVIA DAL NOSTRO INVIATO Professor Cipolla, l'avventura della lira si chiude, dopo mille anni e più... «E' un buon finale. Anzi, la confluenza in un'unica moneta europea, in fondo, era l'unica via possibile proprio per salvare la lira. Abbandonata a sè stessa, poveretta, non ce l'avrebbe fatta a stare a galla...». La lira muore, viva la lira. E nessuno, probabilmente, ha più titolo del professor Carlo Maria Cipolla, uno dei maggiori storici mondiali dell'economia, di intonare il «de profundis» alla nostra moneta; fu lui, infatti, a dedicarle quarant'anni un celebre studio, non a caso titolato (d'avventura della lira», affresco dei suoi vizi e della sua quasi congenita fragilità. La moneta, dice Cipolla, per un Paese rappresenta assai di più che una convenzione. «E' tutto, in un certo senso. E' un mezzo di scambio, un'unità di conto, ma anche un serbatoio di valori: basta scrutare il grafico dell'andamento della lira dal 1860 ad oggi per avere la sensazione di quanto siano intimamente connesse la stabilità monetaria e quella politica». E' la moneta, in particolare, che serve a spiegare la parabola di un Paese privo di risorse naturali, condannato, per prosperare ad esportare beni e servizi onde acquisire i mezzi per pagare le importazioni. «Non a caso - sottolinea Cipolla - la lira ha attraversato nella sua storia momenti di debolezza e di forza. Ma è stata, tendenzialmente, più spesso una moneta debole, per aiutare le esportazioni. La fragilità della moneta era un asset straordinario nelle mani degli imprenditori...». Oggi, però, si cambia registro. 0 no? «Dobbiamo abituarci ad un export basato su maggior produttività e su maggiori contenuti tecnologici». E' la condanna, aggiunge Cipolla, di noi italiani, «un popolo che non può permettersi di fermarsi, di accontentarsi di facili successi. Dobbiamo inventare sempre cose nuove». Guai a fermarsi. L'Italia, se vuole prosperare nelle condizioni economiche in cui si trova, deve esportare: il nostro Paese importa buona parte di quanto consuma, ma per importare beni deve esportare beni e servizi per pagarsi le importazioni. Ma, per produrre, bisogna saper importare materie prime. Certo, la moneta debole aiuta a batter la concorrenza. Ma non è detto che la moneta debole sia l'unica carta vincente. Anzi, nei momenti migliori della nostra storia, le cose andarono in maniera ben diversa. «L'unico precedente dell'euro - ricorda Cipolla - è proprio nella storia italiana, nel basso Medio Evo». Nel Trecento? «No, il Trecento è un secolo pieno di problemi. Il periodo d'oro dell'economia italiana è il Duecento. Ed è allora che si giunge ad un'unificazione monetaria spontanea da parte di diverse città italiane che decisero di dotarsi di mezzi di pagamento adeguati per le maggiori transazioni economiche internazionali. Allo scopo di facilitare gli scambi, quindi, diversi Stati si accordarono su un modulo comune di quantità d'argento». Nel 1252 Firenze e Genova coniarono una moneta d'oro puro (il fiorino e il meno noto genovino). E funzionò? «All'inizio ci fu una certa diffidenza. Venezia si adeguò solo trent'anni dopo per non far concorrenza al proprio grosso d'argento. Poi, un Paese dopo l'altro, tutti seguirono l'esempio italiano. In più di un caso l'imitazione fu letterale, non solo nel peso ma anche nel disegno. Ma per secoli le monete italiane furono le più pregiate. Soprattutto il fiorino e il ducato rappresentarono per l'intero Basso Medioevo i mezzi di pagamento preferiti nelle transazioni internazionali. Sono stati, insomma, i dollari del Medioevo». E poi? ((Poi ciascuno andò per la sua strada» replica Cipolla. Anche qui la storia insegna. Nel corso del Seicento altri Paesi, Inghilterra, Olanda e Francia in testa, seppero produrre beni a costi inferiori ai nostri,che piacquero più dei nostri. Le esportazioni italiane crollarono, provocando la nostra rovina. E le nostre monete, in un Paese impoverito, cominciarono a divergere, i mercati a rimpicciolirsi, l'export a ridursi al lumicino. «Tutto è reversibile nella storia» ammonisce Cipolla. Non esiste una situazione di benessere conquistata per sempre. Era così in passato, oggi è ancora peggio. Ora l'Italia ha bisogno di esportare come nel Medioevo e nel Rinascimento, ma la competizione è assai più vivace e pronta che nei secoli passati. E quel che vale per la Penisola è buono per il resto d'Europa... «L'Euro è nato proprio dalla sensazione che il Vecchio Continente stava perdendo colpi rispetto al dollaro. E che da soli nessuno se la sarebbe cavata». E l'Italia l'ha capito prima di altri. 0 no? «Mi ha sorpreso la scelta italiana. 0 meglio, pensavo che le resistenze sarebbero state più profonde». E invece, per la prima volta da tempi immemorabili, gli italiani avranno una moneta forte...«Ci sarà più fiducia nell'unità monetaria. E ciò dovrebbe far crescere la propensione al risparmio, modificare le tendenze di consumo». Le prospettive sono rosee, quindi? «Il vero problema è stabilire se e quanto ci sopporteranno i tedeschi. Ovvero, se saremo in grado di affrontare la concorrenza con la nostra vitalità, aguizzando l'ingegno. Si possono perdere preziosi mercati in tempo breve, soprattutto se l'innovazione ha un basso contenuto tecnologico». In tal caso, il rischio è di rimpiangere presto la vecchia lira, dai nobili natali (la «libbra» viene trasformata da peso a unità monetaria per volere di Carlo Magno) ma dal destino curioso di valuta «fantasma», più unità di misura che pezzo di metallo o banconota di uso comune. Moneta «virtuale», la lira, infatti lo è stata per quasi tutta la sua storia. All'inizio, ai tempi dell'imperatore dei Franchi, perchè il suo valore era enorme: nell'Italia settentrionale, con meno di mezza lira, si potevano comprare oltre 18 moggia di miglio in tempi di gravissima carestia; oppure, con una lira, si acquistava una schiava. Alla fine del viaggio, nel pieno del boom economico, la piccola lira venne invece divorata dalla perdita di valore. «Nelle casse del Tesoro - scriveva un funzionario del ministero - residuano soltanto 879.950 pezzi metallici da LI. Di fatto non ne circola neanche uno. Dicono che anni fa siano stati incettati da fabbricanti di bottoni, come materia prima molto a buon mercato...». Ugo Bertone «Ha attraversato momenti di debolezza e di forza Ma è stata, tendenzialmente, più spesso debole per aiutare le esportazioni» «L'unicoprecedente dell'euro si ebbe proprio da noi nel Duecento: si giunse a un'unificazione monetaria spontanea per iniziativa di Genova e Firenze» «All'inizio ci fu una certa diffidenza. Venezia si adeguò solo trent'anni dopo. Poi anche gli altri Paesi seguirono l'esempio italiano» 1/ grande storico della nostra moneta spiega le ragioni dei suoi vizi e della sua «congenita» fragilità *** * * ★ ★ Un'epopea cominciata con Carlo Magno. e l'Italia divenne la patr«L'unicoprecedente delproprio da noi nel Duea un'unificazione monper iniziativa di Genov«All'inizio ci fu una cersi adeguò solo trent'angli altri Paesi seguirono o Bertone munità, icemente ma. EletdeiArdsemstefonser tutti seguirono l'esempio italiano. 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