il vento del nostro futuro
il vento del nostro futuro Il 1° gennaio entra in vigore la nuova moneta: tra ottimismo e incertezze, l'inizio di una nuova storia il vento del nostro futuro P RIMA di essere il nome di una moneta. Euro è stato in nome di un vento. I greci dell'antichità, infatti, chiamavano così lo Scirocco che soffia da Sud Est sull'Europa meridionale. Come narra Omero nel quinto canto dell'Odissea, Euro, insieme a tre altri venti (Noto, Borea e Zefiro) provocò la grande tempesta che affondò la zattera con la quale Ulisse - un eroe che può essere annoverato tra i primi veri europei, non foss'altro che per la sua curiosità intellettuale - tentava di tornare a casa. E' molto probabile che gli esperti di Bruxelles non ricordassero (o non conoscessero?) l'Odissea, altrimenti avrebbero scelto un nome diverso per la nuova moneta, decisi com'erano a farla nascere asettica, priva di riferimenti culturali che «avvantaggiassero» questo o quél Paese. Il riferimento omerico appare però appropriato in quanto apre la strada a un interrogativo di fondo: l'euro spingerà la zattera dell'Europa verso le mete che si è scelta, oppure la farà affondare? Per cercare di abbozzare una risposta occorre ricordare il carattere, a un tempo audacissimo e pericoloso, di questo esperimento eccezionale. L'istituzione di una moneta unica ha, di solito, sanzionato la supremazia economica, e spesso anche culturale, di una nazio- ne, il coronamento di un suo progetto politico. Di un, per altro confuso, progetto europeo, l'eviro vuole, al contrario, rappresentare le fondamenta. Da un punto di vista meramente economico, l'Europa potrebbe anche fare a meno di una moneta unica: da quasi cinquantanni, sta realizzando tassi di crescita complessivamente soddisfacenti con un sistema di monete nazionali prima ancorate al dollaro e successivamente legate tra loro da accordi flessibili. Due motivi non economoci, uno interno e uno esterno, fanno però decisamente pendere la bilancia in favore di questo nuovo strumento monetario. All'interno, ha giocato un ruolo decisivo la preoccupazione che il peso economico di una Germania riunificata potesse por fine a quel delicato bilanciamento che aveva fatto la fortuna della Comunità Economica Europea e che la Bundesbank potesse imporre, senza alcun controllo, i suoi principi di ortodossia monetaria a tutti gli altri Paesi del Continente. All'esterno, i rapidissimi pro- gressi del processo di globalizzazione hanno reso anacronistiche le monete nazionali. Lo si è ben visto nel 1998, quando, senza la prospettiva della moneta unica, la crisi asiatica avrebbe sicuramente spazzato via per lo meno le monete dei Paesi europei più deboli, tra le quali la lira: sul piano internazionale, in altri termini, la nuova moneta si è dimostrata vantaggiosa e addirittura necessaria per l'Europa prima ancora della sua nascita. La via della moneta unica appare quindi inevitabile per un'Europa che voglia ancora contare nel mondo ma occorre guardare al di là dell'euforia del momento. Ci si accorgerà allora che l'euro, pur così vantaggioso, presenta evidenti debolezze strutturali. Crea infatti le premesse perché investimenti e nuova occupazione si concentrino là dove la produttività è maggiore e le infrastrutture migliori, trascurando aree periferiche come il Mezzogiorno italiano, le quali, in passato, recuperavano competitività con le svalutazioni e oggi sono chiamate a compiere uno sforzo ben più duro. Tra aree «forti» e aree «deboli» potrebbero così determinarsi squilibri intollerabili. Il vero rimedio a una simile minaccia di crescenti disparità sarebbe un sistema generale che, come avviene negli Stati Uniti, ridistribuisse automaticamente le risorse dal centro. Nell'Unione Europea, invece, una simile ridistribuzione non è automatica ma dipende da fattori amministrativi: i divari si combattono con appositi fondi europei e la loro assegnazione è sovente legata a negoziati politici. Questo significa che, affinché l'euro mostri la sua efficacia nel lungo periodo, è sicuramente necessario che gli Stati membri cedano al governo centrale una parte di quella sovranità che hanno a lungo gelosamente conservato e che questo governo centrale si evolva, in tempi ragionevoli, in senso ben più genuinamente democratico di quanto non sia ora. A questa incertezza economico-istituzionale fa da contrappunto il vasto orizzonte di sviluppi economici, civili e culturali che per ora è dato di intravedere solo confusamente. Non si tratta, come viene troppo spesso semplicisticamente sottolineato in questi giorni, di comprare e di vende¬ re con maggiore facilità da Helsinki a Palermo e da Lisbona a Vienna, bensì di far nascere un'unità europea che sia qualcosa di più dell'unificazione dei listini dei prezzi e degli spot pubblicitari e riguardi invece comportamenti e valori. La moneta unica indubbiamente faciliterà simili sviluppi ma sulla loro rapidità e profondità il giudizio deve rimanere sospeso. Il discorso torna così a quell'europeo che era Ulisse e alla sua zattera malferma che cercava di tenere le rotte prescelte: l'euro potrà soffiare benignamente oppure potrà suscitare tempeste che rischiano di squassarla. Molto più che come punto d'arrivo, la nuova moneta si configura come punto di partenza di un'avventura che deve ancora tutta dispiegarsi e appare, in ogni caso, sicuramente coinvolgente. Sulla zattera dell'Europa sospinta dall'euro, impegnati a tenerla a galla, sospesi tra uno sperato approdo felice e un naufragio possibile, ci siamo tutti noi. Mario Deaglio La via audace e inevitabile per un'Europa che voglia ancora contare nel mondo La nostra rotta è tesa allo sviluppo Ma il rischio del naufragio è sempre in agguato > Questo è il nuovo logo dell'euro Sarà distribuito alle banche e a tutti gli esercizi commerciali degli undici Paesi che aderiscono all'Unione
Persone citate: Borea, Mario Deaglio
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