D'Alema, un premier a New York di Augusto Minzolini

D'Alema, un premier a New York Il presidente del Consiglio in giubbotto e maglione blu tenta di sfuggire ai curiosi e al controllo dei G-men D'Alema, un premier a New York L'impossibile «vacanza privata con famiglia» NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO Ore 19 e 30 di lunedì 28 novembre. Per 14 minuti la cinquantunesima strada all'altezza della settima rimane bloccata. Quattro berline nere della Fbi e un gippone con tanto di sirene accese paralizzano il traffico. Davanti all'ingresso principale dell'Hotel Michelangelo una limousine nera è in attesa. Con il passare dei minuti si forma una piccola folla di curiosi mentre si allunga la fila delle automobili e i clacson si fanno sempre più impazienti. Una signora azzarda: «Who's that? The French prime minister?». Finalmente dietro la porta a vetri spunta qualcosa. Un volto noto? No, qualcuno spinge una carozzina che deve far parte del seguito della personalità. Dietro ancora, in tenuta casual spunta Claudio Velardi, il consigliere politico del presidente del Consiglio che tiene per mano il figlio. Poi un altro signore con la barba e bambini piccoli attorno, che deve far parte della comitiva. La signora Velardi. Di nuovo marmocchi e due ragazze più grandi. Finalmente arriva la signora D'Alema, Linda Giuva, e dietro a lei, in giubbotto e maglione blu, imbarazzato per tanto clamore il nostro premier. Inutile dire che il 99% di quella folla quando lo vede non sa chi sia. Ma quei dieci G-men che gli ronzano attorno sono la dimostrazione che si tratta di qualcuno di importante. E pensare che Massimo D'Alema aveva fortemente desiderato e sognato una vacanza privata, di quelle in cui uno dopo aver lavorato mesi e mesi, dopo aver conquistato Palazzo Chigi, trova il giusto svago andandosene in giro indisturbato a curiosare tra le vetrine addobbate a festa di New York con la propria moglie, i propri figli e due amici accompagnati dalle rispettive famiglie: un gruppo turistico di sei adul- ti e sette giovani, tra adolescenti e piccini. Una sorta di vacanza Alpitour per trascorrere l'ultimo dell'anno nell'ombelico del mondo. Ma può un premier straniero passeggiarsene tranquillo per le strade della Grande Mela? Può un primo ministro appellarsi al privato? Diciamo che D'Alema in questa sua vacanza americana sta provando una sindrome che colpisce tutti i capi di governo: l'impossLbiMtà di vivere per qualche giorno come un privato cittadino. Ne fa le spese il cronista che lo avvicina nella hall dell'albergo. Prima viene fissato dal premier e circondato da quei signori, metà uomini e mata armadi, che lo scortano. Eppoi si sente dire in tono semi-faceto: «Guardi che sta rischiando la vita. Guardi che se insiste io la uccido o cambia albergo». Verrebbe da replicargli con la frase tradizionale: Ha voluto la bicicletta? Ora pedali.... Ma in fondo il personaggio va compreso. La continua permanenza sotto i riflettori deve essere insopportabile per un uomo nel fondo timido e scontroso come lui. Questo non toghe, però, che certe convinzioni del nostro presidente del Consiglio siano a dir poco fantasiose: come può pensare un capo di governo che ha in casa un personaggio tipo Ocalan e che ha criticato la guerra degli Usa contro Saddam, di potersene andare in giro per New York senza protezione? L'illusione della vacanza privata, infatti, è durata fino a quando D'Alema se ne è rimasto in Italia. Per difendere la privacy la comitiva ha preparato il viaggio in famiglia, a cominciare dalle prenotazioni degli aerei e quelle alberghiere. L'ufficio stampa della presidenza del Consiglio per mantenere a distanza i media ha l'atto sapere che il capo del governo avrebbe trascorso il Capodanno in casa di amici. Insomma, tutto è andato liscio fino a quando il nostro Premier non ha messo piede nell'aeroporto di Newark. Lì, è scattato il protocollo americano. D'Alema è stato preso in consegna da un battaglione di G-men che gli si sono attaccati addosso e non lo hanno lasciato da solo neppure un minuto. La situazione deve aver messo a dura prova i nervi del nostro. A Paolo Liguori, il direttore del tg di Italia 1, incrociato per caso a New York, che gh chiedeva se si trattava di una vacanza privata, il Premier ha risposto: «Privata? Ma con quelli lì!». Il premier si è ripreso dall'invidia per l'anomimato di cui può godere il suo interlocutore solo quando ha saputo che per la lunga coda Liguori non aveva potuto visitare la mostra di Jackson Pollock al Moma. «Io l'ho vista - gli ha replicato - con l'Fbi vai dappertutto». Magra consolazione per uno come D'Alema che non sopporta di essere osservato. Ieri a uno dei tanti connazionali che soggiornano all'Hotel Michelangelo (l'albergo è di proprietà di una società italiana) il presidente del Consiglio ha raccontato la sua prima giornata a New York con la famiglia: «L'unica cosa che mi dispiace è quella di non aver trovato la statua di Balto Dog, quello dei cartoni animati, a Central Park. Ma alla fine la troverò con Francesco (il figlio, ndr). Volevo poi portare Giulia (la figlia, ndr) a far compere da Gap, ma come si fa con questi dietro? La verità è che ci sono i piccoh e le adolescenti. Queste ultime non si fermano di fronte a nulla quando debbono far compere. Gh ho solo consigliato di tenersi lontana da Tiffany». Così è andata il primo giorno. Per il secondo la famiglia D'Alema ha cambiato tattica. Linda con le altre donne è andata a far compere per conto suo. I ragazzini hanno fatto un giro con i padri, ma poi sono rimasti con l'altro amico, quello più anonimo. E D'Alema? Il nostro premier per liberare la famiglia se ne è andato in giro portandosi dietro gh uomini-armadio. Ha potuto contare solo sulla solidarietà del fido Velardi, che lo ha accompagnato. Son cose che succedono, ai primi ministri. Tanto di cose su cui riflettere da solo il nostro premier ne ha a bizzeffe. Bisogna chiudere in un modo o nell'altro il caso Ocalan. Eppoi c'è il fatidico incontro con il Papa l'8 gennaio. E, a proposito di figli, il presidente del Consiglio in quell'occasione dovrà portare in dono al Pontefice qualcosa per la scuola privata. A New York si è saputa una proposta che circola tra i Palazzi e i Colli che contano a Roma: la famigerata ipotesi del 9 per mille sarebbe tramontata; al suo posto, cresce l'i¬ dea di sovvenzionare gh asili privati. Motivo? Intanto perché verrebbero meno le questioni ideologiche. A tre anni si può stare tranquillamente in braccio a una suora o ad un rabbino- senza esserne condizionati. Eppoi perché c'è un appiglio: in Sardegna nei paesini con pochi abitanti lo Stato visto che non può aprire un asilo per pochi alunni (sarebbe anti-economico), già finanzia gh istituti privati esistenti grazie ad una legge del Duce. Sia questo o un altro lo strumento per finanziare la scuola privata, di sicuro c'è che D'Alema di ritorno da New York si dovrà vestire da Re Magio per incontrare il Papa. Augusto Minzolini