Nel Kosovo dei massacri parte la caccia al serbo di Giuseppe Zaccaria

Nel Kosovo dei massacri parte la caccia al serbo Ora sono gli albanesi ad attaccare, è la tragedia della pulizia etnica al contrario Nel Kosovo dei massacri parte la caccia al serbo PODUJEVO DAL NOSTRO INVIATO Un cimitero serbo si distingue dagli altri perché è sempre un po' più tetro. In Kosovo, poi, dov'è circondato da bianchi cimiteri albanesi, questa sorta di culto del buio e della morte spicca in maniera ancora più violenta. Enormi lapidi di marmo scuro, iscrizioni, foto e bandiere stemmate si accavallano in un neobarocco cui fa da confine una cancellata nera. Il mondo dei viventi dovrebbe restare fuori dal recinto: adesso invece quel mondo spara anche sui morti. Il piccolo camposanto di Obrandza, un villaggio a tre chilometri dalla strada principale, è il luogo in cui tre giorni fa l'ennesima crisi del Kosovo si è scatenata. Qui stavano portando la salma di Milan Radqjevic, agricoltore pensionato, ucciso sulla soglia di casa da «guerriglieri» dell'Uck. Qui, da un costone, si è scatenato un fuoco d'inferno sul corteo funebre, fra preti che scappavano e milizia serba che interveniva in forze. Qui si sta consumando una delle nuove facce del dramma: la «pulizia etnica» all'incontrario. La caccia al serbo è ufficialmente aperta: e la minoranza del Kosovo comincia ad abbandonare case e villaggi esattamente come gli albanesi fanno nelle zone in cui la reazione di Belgrado si manifesta più forte. «Questa è una città senza più bambini...», racconta sconsolato Srboslav Bisercic, 44 anni, che di Podujevo dovrebbe essere sindaco se solo avesse una municipalità da amministrare. «Invece quest'area continua a spopolarsi. Fino a pochi giorni fa il distretto aveva 140 mila abitanti, noi serbi eravamo 1500. Adesso, direi poche decine. L'altro ieri abbiamo fatto evacuare 200 fra ragazzi e bambini, adesso sono in Serbia. Altre 28 famiglie se ne sono andate spontaneamente senza neanche consultarci. Altri ancora sono venute qui dai villaggi e adesso li ospito a casa mia. Ma che paese è, un paese che di colpo si ritrova senza giovani?». Anche i piccoli albanesi paiono scomparsi da questi scorci lunari. Podujevo è il luogo che ha i 10 gradi sottozero di oggi e alla neve che ricopre le sue strade deve qualche gratitudine. Il manto bianco per lo meno impedisce che si notino tutte le brutture del luogo. Intorno si vedono blindati della polizia, un pullman bruciato, una sterminata teoria di portoni chiusi e di case in cui nessuno sembra più abitare, e tanto meno vivere. «Hanno ammazzato un vecchio agricoltore - continua il sindaco - e vuole sapere perché? Solo perché possede¬ va venti ettari di terreno. Aveva sei figli, quei figli avrebbero ereditato la terra, ma adesso tutti e sei se ne sono andati con le loro famiglie. Nessuno reclamerà più quella proprietà, gli albanesi se la prenderanno. E noi, serbi di frontiera, restiamo qui senza sapere se abbiamo ancora uno Stato, se ancora esiste qualcuno che possa difenderci». Quanta differenza tra lo squallore di Podujevo e lo squallore di Lapastica, il villaggio ad appena otto chilometri di distanza. Qui la devastazione ha un che di protervo, di vincente, quasi. Il villaggio è nelle mani dei separatisti dell'«Uck», e parlare con loro ormai è come accomodarsi a una conferenza stampa. Hanno fatto molti passi in avanti, gli ex guerriglieri straccioni. Oggi ostentano tute bianche per mimetizzarsi nella neve, in testa portano il «kece», bianco turbante tradizionale che stride alquanto con la modernità dei loro mitragliatori americani. Uno che si definisce il capo e dice di chiamarsi Remi (anche i tempi dei nomi di battaglia tipo «aquila» e/o «falcone pazzo» appaiono finiti) racconta tranquillo che gli albanesi «aderiscono alla tregua appena conclusa, ma naturalmente reagiranno a qualsiasi attacco». Gli ultimi attacchi, però, comandante Remi, sono stati vostri... «L'accordo di tregua è stato siglato con gli osservatori dell'Osce e non con i serbi, questo deve essere chiaro. Noi stiamo qui e qui resteremo, costi quel che costi». Hanno l'aria dei padroni, questi due miliziani dall'aria supertecnologica. Hanno appena inaugurato una nuova campagna, e sanno che alla lunga essa si rivelerà vincente. La caccia al serbo, dicevamo prima. Svanita, nell'agosto scorso, l'illusione militare, ridimensionata poi la speranza di spingere la Nato ad un intervento, il nuovo «Uck» torna alle origini, torna a sposare una strategia di stile irlandese. Le fonti ufficiali affermano che la situazione di queste ore in Kosovo è «relativamente calma». Come relativamente morte erano quelle cinque persone i cui corpi sono affiorati ieri mattina sulla neve in varie province della regione. Due assassinati a Prizren, altri due morti a Kosovska Mitrovica, uno sgozzato sulla strada tra Pec e Decani. Tutti albanesi, ma «collaborazionisti», gente che si ostinava a pensare che con i serbi si potesse convivere. E' uno stillicidio che continua da giorni, senza mai provocare quel numero di morti che fa tanto titolo di giornale la reazione europea. 2, 3, 5 vittime al giorno solo per ricordare ai serbi che la loro sorte è segnata, sperando magari in una nuova, «sproporzionata» reazione. La Nato, sia chiaro, ha sempre «Il dito sul grilletto»: ambasciatori e plenipotenziari continuano a ripeterlo anche se nessuno ormai capisce su quale arma quel grilletto potrebbe mai agire. Da Podujevo, i sopravvissuti serbi scrivono a Milosevic per chiedergli: «Se non siete pronti a di fenderci ditelo chiaro e tpndo: almeno saranno evitate ulteriori vittime». A Grecanica sta per partire una protesta che prescinde da tutte le autorità serbe del luogo: «Per ogni vittima serba sono responsabili Milosevic e Milutinovic», scrivono i coloni. Questa, è la fine d'anno che il Kosovo si appresta a vivere, in città sempre più assediata, e con una minoranza serba sull'orlo della disperazione, pronta a reazioni che nessuno riesce ancora ad immaginare. A Pristina, ieri sera, si vedeva uno stento Babbo Natale zompettare nella neve di via Vidovanska, accompagnato da un giovane che travestito da Paperino perdeva nella fanghiglia i finti piedi palmati. Volevano dare il via della festa, quei poveracci, mettere assieme qualche dinaro facendosi fotografare con i bambini. Nessuna telecamera, purtroppo, ha ripreso la loro mesta defilata mentre la temperatura scendeva e la gente si rinserrava nelle case. Giuseppe Zaccaria «Se Milosevic non ci difende lasceremo il Paese» Ora sono gli albanesi ad attaccare, è la tragedia della Nel Kosovo dei massacri parte la caccia al serbo pulizia etn

Persone citate: Milosevic, Milutinovic