Mao, la rivincita del vecchio zio di Domenico Quirico

Mao, la rivincita del vecchio zio Dai gadget alla politica, il Grande Timoniere seduce ancora Mao, la rivincita del vecchio zio L vincitore - diceva Napoleone - è chi resta padrone del campo di battaglia». E allora chi ha vinto? Nel cuore di Pechino, tre giorni la settimana, una fila interminabile di diecimila cinesi sbiscia nella piazza Tienanmen per entrare nel mausoleo del Grande Timoniere: a passo di carica sfilano per un istante e rendono omaggio al suo immortale ambiguo sorriso, custodito nella teca di cristallo. A Shaoshan, nella provincia dello Hunnan, im milione di persone ogni anno si accalca davanti alla sua casa natale. Ai tempi della Rivoluzione Culturale vennero prodotti più di due miliardi di oggetti che portavano l'immagine di Mao; ogni cinese vivente, insomma, possedeva almeno tre di questi santini di purezza rivoluzionaria. Ebbene, questa ciclopica impalcatura del kitsch è oggi certamente più pingue e spontanea: orologi, fiammiferi, spille per cravatte di tutte i prezzi e materiali, orecchini, accendini, magliette; e ancora pendagli per auto, talismani, piatti di porcellana e di maiolica; ultimo arrivato il CD con tutto il maopensiero trasferito dai fruscii cartacei del Libretto Rosso alla monumentalità cibernetica. Mao è un grande affare per Gao Xiaoguang, ex pittore ufficiale che con tenace successo continua a spennellare il suo faccione con lo scrupoloso rigore del realismo socialista. E che periodicamente viene chiamato a rinfrescare 0 ritratto che scruta piazza Tienanmen. I tre ragazzi che nell'89 osarono sporcarlo con un getto di vernice sono finiti in galera tra l'esecrazione generale. E' un affare per la stilista di Hong Kong Vivienne Tarn, che imprime il volto sui vestiti per le signore della nuova nomenklatura. E' un affare per tassisti e camionisti che lo appiccicano come un santino e giurano che serve a evitare gli incidenti. Per i contadini deDe zone economiche non ancora speciali, impaludate nell'apatia e nella miseria, che bruciano in suo onore bastoncini d'incenso accasandolo tra i lari che garantiscono la pace di famiglia. E' un affare per i sosia, come Gu Yiuc, che recitano film agrodolci sui tempi del Libretto Rosso. Una medaglia con il suo volto incasellato di diamanti è stata spedita nello spazio a cura del regime (ma il satellite, ambiguo presagio, sembra essersi perso tra le galassie). La sua divisa da rivoluzionario, quella davvero negletta in Cina, torna di moda presso i vecchi rivoluzionari d'Africa come Kabila e Museweni, tardivamente promossi presidenti. Mao sembra essere passato attraverso i giorni infuocati del dopo Mao senza un segno, un'affumicatura. L'uomo che osservò con il sorriso maligno di un dio etrusco 40 milioni di connazionali uccisi dalla fame e dagli errori ciclopici del Grande Balzo in Avanti, che ne schiacciò un'altra trentina di milioni nella normalità dei gulag e nei gorghi della Rivoluzione Culturale, è amato come un vecchio zio, «uno che viveva asceticamente in mezzo ai lussi della Città Proibita». Le sue colpe (un 30% a fronte di un 70% di meriti, come ha sentenziato la bilancia, mai smentita, della Città Proibita) sono scivolate sul torquemadesco pedigree della moglie e dei cortigiani infidi. Per i cinesi, alle prese con la lussuosa desolazione di uno sviluppo incerto e diseguale, con il carnevale della corruzione diventata una seconda pelle del potere, Mao resta il leader di un'epoca in cui governavano «grandi uomini», il Paese aveva lavato l'onta delle «concessioni» ed era diventato una grande potenza. Sono le sirene della vecchia aurea parola: prestigio. Ma è in politica che Mao ha vinto: sono passati più di vent'anni e il regime è ancora quello che aveva forgiato lui, con la sua draconiana disciplina casermesca, avvinghiato allo Stato autoritario. Quando una catastrofe si abbatte sul Paese, i fiumi straripano e le dighe (di cartone) si piegano, i (nuovi) dirigenti fanno appello all'emulazione rivoluzionaria, come ai tempi in cui «le braccia dovevano piegare le montagne». Non è vero che tutti i dittatori sono eguali. Al contrario della destalinizzazione, la demaoizzaione era, al contempo, più facile e meno indispensabile. Perché quella di Stalin era una dittatura assoluta: l'alternativa era sottomettersi o morire. Quello di Mao era un sistema di pensiero. E' la Cina. Né quella di ieri forse, né quella di domani. Quella di oggi, quella di sempre. Domenico Quirico

Luoghi citati: Africa, Cina, Città Proibita, Hong Kong, Pechino, Shaoshan