«Che gioia aprire la mia casa a questi ragazzi pieni di fede»
«Che gioia aprire la mia casa a questi ragazzi pieni di fede» Una delle famiglie che ha risposto alla campagna di ospitalità: «E' come avere sei nuovi figli arrivati dalla Polonia» «Che gioia aprire la mia casa a questi ragazzi pieni di fede» PORTE APERTE PERTAIZE' E, MILANO NTRANO in punta di piedi, togliendosi gli scarponcini per non rovinare la moquette azzurra. Dicono grazie per tutto, con un sorriso, con gli occhi bassi di chi, dopo vent.isei ore di pullman da Czostochowa in Polonia a qua, trova una casa accogliente, una famiglia disponibile, un'ospitalità senza niente in cambio. «A guardarli, sono una gioia per gli occhi», giura Vittoria Labiati che ha aperto la sua casa di piazza Piemonte per cinque giorni a questi sei ragazzi polacchi, cinque donne e un uomo, a Milano per il ventunesimo meeting di Taizé. «Una gioia», ripete lei mentre sforna pizzette calde, panini dolci, biscotti, tè e caffè. «Grazie», dice Raffaele, 26 anni, quasi laureato in ingegneria delle costruzioni. «Thank you», seguono a mota Ewa e Kasha, 23 anni, studentesse di Ecologia, Renata, stessa età, facoltà di Pedagogia, Bojena, 26 anni biologa e Ursula, 16 anni, «lyzeum» come precisa. «Un paio di mesi fa tramite la parrocchia abbiamo dato la disponibilità ad ospitare i ragazzi di Taizé, non sapevamo chi ci sarebbe toccato», spiega la signora Vittoria. «Quando ci hanno detto che sarebbero stati italiani, un po' siamo rimasti delusi», aggiunge Carlo, suo marito. E invece sono tutti polacchi, tutti arrivati al centro di smistamento della scuola privata Leone XIII, dove ad accoglierli c'è lei con la station wagon. «Avevamo dato la disponibilità per cinque ragazzi. Poi abbiamo scoperto che Raffaele e Renata sarebbero stati divisi. Sono fidanzati, come si faceva...», racconta Vittoria. Come se fosse la cosa più normale del mondo che in ima città come Milano, almeno ventimila famiglie come questa abbiano aperto la loro casa a degli sconosciuti, a dei ragazzi venuti da lontano in nome della fede, della voglia di stare insieme, della parola di frère Roger. «Qualche problema in parrocchia c'è stato, ma forse solo perché sono partiti tardi. Noi siamo credenti e praticanti, sapevamo dell'esistenza della comunità di Taizé. C'è sembrato giusto dare una mano», spiegano Carlo e Vittoria, lui dirigente d'azienda, lei casalinga. «La casa è grande...», guardano il salone con la doppia libreria, il tavolo rotondo adesso con le pizzette, il divano con le poltrone, le due camere da letto messe a disposizione dei ragazzi. «Per voi ci sono quattro letti. Altri due possono dormire per terra. Scegliete voi come dividervi», apre le porte la signora Vitto- ria, mentre i giovani polacchi mettono a terra gli zaini e srotolano i sacchi a pelo. «Abbiamo tre figli, una vive per conto suo, un altro è in montagna a sciare, un altro ancora è in Tunisia in moto con gli amici», fa i conti dei letti liberi il signor Carlo, mentre serve il tè e il caffè. «Se avessi quarant'anni, sarei andato anch'io a sciare. Ma visto che ho sciato negli ultimi trenta, ho pensato di fare qualcosa di utile», spiega lui mentre davanti alla cartina di Milano, stesa in cucina, dà le indicazioni logistiche su come arrivare alla Fiera e raggiungere la parrocchia per la preghiera del mattino. «Pensavo che ci sarebbero capitati degh adulti, non dei ragazzi così giovani. Avevamo solo delle perplessità sugli handicappati, non so se siamo preparati. C'è il problema delle scale, dell'ascensore troppo piccolo», non si ferma davanti a niente Vittoria che almeno una volta a settimana, serve il pranzo in una mensa di solidarietà per gli extracomumtari. «Ci piace la freschezza di questi incontri, ci piace conoscere realtà nuove. Con la lingua ci arrengeremo», non si scoraggia Carlo, che per farsi capire parla in italiano, in inglese, qualche frase scivola pure in francese. Mentre le risposte arrivano con l'italiano maccheronico di Raffaele, imparato due anni fa a Noto, in Sicilia, quando per un mese ha lavorato in uno stabilimento balneare, un po' in inglese e tanto in polacco, per le ragazze che fanno quasi scena muta. «E' la prima volta che partecipiamo a un meeting di Taizé», si fa portavoce Raffaele. «Siamo qui per fede, per curiosità, per stare insieme a tanti altri ragazzi giovani come noi, venuti a Milano da mezza Europa», racconta. Mentre gli si illuminano gli occhi, quando ricorda di aver incontrato il Papa a Czestochowa. «Così da vicino che quasi lo toccavo», assicura. E allora deve essere la fede, la voglia di stare insieme e di conoscere, che muove questa Milano sotterranea, vuota da chi è partito per le vacanze, piena dei centomila ragazzi, gli stessi giubbotti, zaini e sacchi a pelo, che formano un serpente colorato lungo le strade che costeggiano i padiglioni della Fiera. «Io credo che molte famiglie milanesi si siano rese disponibili, perché si tratta di ospitare qualcuno per cinque giorni, per un periodo definito. Non so se sarebbe successa la stessa cosa, se dalle parrocchie fosse arrivata la richiesta di ospitare qualche profugo albanese o curdo», ammette il dirigente d'azienda, nemmeno in ferie questi giorni con la casa invasa. «Gli unici obblighi che abbiamo sono quelli di fornire ospitalità per questi cinque giorni, la colazione al mattino e basta. Per mangiare ci pensano gli organizzatori, ma chissà cosa mangiano...», si preoccupa la signora Vittoria, mamma di questi altri sei figli arrivati dalla Polonia. Che ieri, col cestino fornito a 2000 lire dagli organizzatori, hanno ricevuto un formaggino, una scatoletta di carne, un panino e una mela. «Agli incontri di Taizè parteciperemo anche noi, magari non assiduamente. Ci saremo sicuramente la notte del 31 dicembre», assicura Carlo, che al veglione con gli amici quest'anno preferisce la veglia di preghiera e poi la Festa dei popoli, incontro che concluderà il meeting. «E' la prima volta che ospitiamo qualcuno che non conosciamo. Non c'è mai stata l'occasione prima. Ma è davvero così strano?», si chiede ancora lui. Alla faccia dei milanesi con la porta blindata, gli antifurti doppi alla finestra e i polacchi incontrati solo a un semaforo, quando pulivano i parabrezza. Fabio Potetti «I nostri tre ragazzi sono in vacanza Così abbiamo pensato che potevamo fare qualcosa di utile» Frère Roger al suo arrivo ieri a Milano al meeting della sua comunità
Persone citate: Fabio Potetti, Frère Roger, Leone Xiii, Vitto
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