Valona, regno incontrastato dei traghettatori di uomini di Vincenzo Tessandori

Valona, regno incontrastato dei traghettatori di uomini Valona, regno incontrastato dei traghettatori di uomini LE RAGIONI DI UN BUSINESS CRIMINALE VALONA DAL NOSTRO INVIATO L'altra sera, quando la gente è salita sui gommoni nascosti nelle acque basse ai piedi del monte Koret nella penisola del Karaburun e Valona sfumava nella foschia, Petrit Beja è saltato sul suo scafo e ha messo prora all'isola di Sazan. Lassù, all'imboccatura del golfo, ci sono i militari italiani, quelli del Battaglione San Marco, che dovrebbero «fare velo», almeno dare un allarme tempestivo, perché non hanno mandato di impedire il passaggio dei gommoni. E gli scafisti lo sarmo che ogni minuto guadagnato è prezioso sulla rotta per Lamerica. Come la volpe che si tira dietro i cacciatori, Beja passa e fa di tutto per farsi notare e magari inseguire. Così gli altri scafi, quelli stipati di curdi, indiani, marocchini, kosovari, marijuana e coca, schizzano via, doppiano capo Gjukezes e scompaiono nella notte. Quasi ogni notte. Non si contano le dichiarazioni d'impegno delle autorità albanesi. «Fermeremo gli scafisti», promettono ai politici italiani quando questi scendono a Tirana o sbarcano a Valona e fanno la voce grossa, furibondi per l'incessante flusso di clandestini e droga. Ma nessuno sembra poter bloccare l'esodo. La verità è che nessuno ci prova perché la città vive anche di questo, forse, soprattutto di questo. Qui da sempre esiste uno status particolare. Nella piazza della Bandiera, quella dove ogni giorno sventola il drappo rosso con l'aquila bicipite, il 28 novembre 1912 ilftey Ismail Qemali proclamò la fine del potere turco e l'indipendenza dell'Abania. E la gente si sentì libera. Qui ancora ricordano come, per anni, quando il dittatore si chiamava Enver Hoxha, il Paese era un grande lager chiuso a tutti e il contrabbando un reato da forca, al molo del porto approdassero le navi con le bandiere del resto del mondo, cariche d'ogni mercanzia. Hoxha, che era di Argirocastro, con quelli di Valona andava d'accordo, sapeva che avrebbe potuto contare su di loro. In fondo alla via Skelès c'è ancora quella che fu la sua villa, perché lui qui si sentiva a suo agio, fra gli ufficiali della marina e i contrabbandieri. Che spesso erano la stessa persona. Fedelissimi, tutti: bastava non mettere il naso nei loro traffici. Gli altri, i satrapi rossi godevano del sole e della sabbia di Velipoje, su a Nord, da dove nei mesi passati son partite navi cariche di disperati: ma nessuno salpa più da quella spiaggia, ora sorvegliata, sembra sul serio, dalla polizia albanese. Da Valona hanno ricevuto una spinta determinante le elezioni dell'anno scorso, quelle diciamo age¬ volate dalla rivolta e appoggiate dall'Europa, e che hanno decretato la fine politica di Sali Berisha e del partito democratico. Valona tagliò i ponti con Tirana, anzi, minò quello sulla Viosa, come negli anni della guerra partigiana. La gente si riunì in un «Comitato per la salvezza della città», i carri armati mandati da Berisha si bloccarono davanti a quel fiume con poca acqua. Quando l'ambasciatore italiano Paolo Foresti accorse per discutere sul futuro assetto, dovette tener conto del parere del comitato. In una giornata di vento e di mare grosso, il gruppo venne accolto sulla nave San Marco dove fu siglato un accordo di massima. Usciti con un trionfo dalle elezioni, i socialisti lo sanno bene quanto grande sia il loro debito con quelli di Valona. E la città, indicata come un covo di irriducibili malfattori, sa altrettanto bene che cosa sarebbe indispensabile per cambiare volto. Lavoro, dice il sindaco Neki Dredha, 50 anni, medico, socialista. Il comune è privo della corrente elettrica, con il telefono che funziona quando funziona e senza un fax: in queste condizioni pensare di bloccare i gommoni è un'utopia. Eppoi, le fabbriche sono state distrutte dall'incuria, dal tempo e dagli uomini. Patrizio Ciu, presidente della Fondazione Scanderberg, ricorda come «mezzo milione di giovani dell'Albania sia stato costretto a emigrare in Grecia». Per usare un termine sfumato, le prospettive della città appaiono incerte anche se pure qui ci sono uomini di buona volontà. Hanno creato l'Avz, un'agenzia che cerca di varare iniziative per lo sviluppo. Ma è inutile girarci intorno: per il momento Valona vive sullo «scafismo», sul trasporto dei clandestini. Semplicemente perché non esistono alternative. A Tirana lo sanno e lasciano fare. Anche se quando i vicini alzano la voce, promettono: «Interverremo». Vincenzo Tessandori Impossibile trovare altri lavori, tutte le fabbriche sono state distrutte dall'incuria e dal vandalismo L'ex dittatore albanese Enver Hoxha

Persone citate: Berisha, Enver Hoxha, Hoxha, Ismail Qemali, Neki Dredha, Paolo Foresti, Patrizio Ciu, Petrit Beja, Sali Berisha

Luoghi citati: Albania, Europa, Grecia, L'aquila, Tirana