E se alla fine tornasse Bibi?

E se alla fine tornasse Bibi? E se alla fine tornasse Bibi? L'uomo che incarna pregi e difetti del Paese sommerso ha sofferto fino in fondo le conseguenze dell'economia libera e selvaggia, della privatizzazione, dell'egoismo personale, alienato da qualsiasi tipo di solidarietà sociale. Dovrà forse passare ancora qualche anno prima che gli israeliani comprendano appieno il significato o israeliano di queste scelte politiche, consolidate dalle tendenze post-moderniste e dal senso di emarginazione che la sinistra, consapevolmente o no, manifesta attualmente. Sotto questo punto di vista Netanyahu esprime una nuova sfera di valori propria a molti israeliani, anche a coloro che la pensano diversamente da lui. La seconda caratteristica è rappresentata dall'accettazione «de facto» del processo di pace senza che ne venga però riconosciuto il valore etico e senza alcuna aspirazione a realizzare il sogno che questo racchiude in sé. Netanyahu, e con lui gran parte della popolazione israeliana, non considera la pace come un atto morale di riconciliazione e di giustizia, o una scelta politica necessaria che possa apportare un cambiamento qualitativo nei rapporti umani. Fondamentalmente il capo di governo, e un gran numero di israeliani, non credono nella volontà di pace dei palestinesi e, per essere sinceri, questi ultimi non compiono grandi sforzi per dimostrarla. Ogni gesto di pace non appare quindi come l'evoluzione di un processo naturale e organico bensì come un'imposizione dettata dagli accordi di Oslo (stipulati dal governo precedente) e dalla necessità di mantenere nel mondo un'immagine accettabile dello Stato ebraico. L'intero processo di pace viene considerato alla stregua di una contrattazione tra avvocati inflessibili e smaliziati che, dovendo concludere mi affare, cercano di ricavarne i maggiori vantaggi possibili. E così si presenta Netanyahu: come un patrocinatore duro e determinato che cerca di ottenere la pace al minor prezzo possibile. La terza caratteristica è rappresentata dal mantenimento di un nazionalismo orgoglioso, con riferimenti retorici a simboli tradizionali e religiosi. Qui Netanyahu è riuscito ad esprimere molto bene il timore e la repulsione popolare verso il nichilismo intellettuale dell'Occidente e verso l'anti-religiosità della sinistra. Tuttavia, malgrado questi sentimenti siano molto diffusi tra la popolazione israeliana, Netanyahu non è riuscito a creare tra loro una giusta armonia ma ne ha solo enfatizzato le contraddizioni, accrescendo la confusione. E questo perché, delineandosi agli occhi di molti come un freddo ed esperto manipolatore dei mezzi di comunicazione dall'atteg- giamento tipicamente americano e circondato da consulenti di matrice anglosassone o russa, il suo rapporto con la religione e la tradizione è sempre apparso solo vuota retorica. Netanyahu ha fallito nel tentativo di creare un legame caldo e autentico con i tradizionali circoli sostenitori della destra che lo appoggiano non perché spronati da un sentimento di identificazione e di amore nei suoi confronti (quale dimostravano verso il defunto capo di governo Menaham Begin) ma in quanto sospinti dalla paura e dall'odio per la sinistra. Neil'esaminare i motivi che hanno portato alla fine dell'attuale governo occorre inoltre tener conto del risultato dell'applicazione dei principi di libera economia e di privatizzazione di chiara aspirazione americana che, unitamente ad una guerra tenace condotta contro l'inflazione, hanno portato disoccupazione e recessione economica. Tutto ciò non ha fatto che peggiorare la situazione delle classi più deboli, tradizionali sostenitrici della destra, e in questo modo Netanyahu ha colpito i propri naturali elettori, ostili alle élites dei ceti elevati che si identificano con la sinistra. Anche l'atteggiamento intransigente manifestato verso gli arabi non ha riscosso grande simpatia nei confronti del primo ministro. Tale atteggiamento infatti è sempre apparso incerto, incoerente ed inefficace perché, se da una parte Netanyahu sfoggiava una retorica aggressiva contro i palestinesi, dall'altra conduceva con loro negoziati e faceva concessioni. In tal modo l'estrema destra ha perso la fiducia nel capo del governo, giungendo a considerarlo più pericoloso di un eventuale governo di sinistra giacché, dietro una facciata conservatrice, conduceva, in fondo, una politica moderata. La sinistra, dal canto suo, non ha mai visto in tali concessioni una vera svolta ma solo una resa temporanea del primo ministro alle pressioni esterne, immancabilmente seguita dal tentativo di non rispettare gli accordi da lui stesso firmati. Ma a dispetto di tutto Benyamin Netanyahu, con il suo atteggiamento ambiguo, incostante e contraddittorio, è riuscito a far accettare alla destra, intransigente e reazionaria, posizioni ideologiche ritenute in passato blasfeme: il riconoscimento del principio di divisione della terra d'Israele, l'accettazione di condurre negoziati con l'Olp - da sempre considerata un'organizzazione terroristica - e peremo l'eventuale creazione di mio Stato palestinese. Chissà, forse solo un illusionista quale Netanyahu potrebbe essere in grado di portare a termine l'iniziativa intrapresa da Rabin e di convincere la metà della popolazione, sostenitrice della destra, che non vi è alternativa ad un compromesso, rendendo così il processo di pace meno violento all'interno della società israeliana. Esiste la possibilità che Netanyahu ritorni al potere? Malgrado la sua attuale situazione sfavorevole credo che la risposta sia positiva e che possa riprendersi all'ultimo momento grazie ad una campagna elettorale demagogica e aggressiva. Perciò, al fine di scongiurare il pericolo di una sua rielezione, tutti i suoi oppositori non devono accontentarsi di confidare nella logica e nel buon senso degli elettori bensì rimboccarsi le maniche e mettersi seriamente al lavoro per conquistarne il favore. Avraham B. Yehoshua Benny Begin, figlio dell'ex primo ministro israeliano

Luoghi citati: Israele, Oslo