Noi soldati dello scoop a Baghdad di Mimmo Candito

Noi soldati dello scoop a Baghdad Noi soldati dello scoop a Baghdad Tra bombe intelligenti, censura e televisioni arroganti LA NUOVA TEMPESTA DI RITORNO DA BAGHDAD Fa freddo anche a Baghdad. Specialmente durante la notte, quando il deserto soffia spifferi di gelo sulla città. L'altra settimana sono arrivato a Baghad nella prima notte dell'attacco americano, mentre gli altri giornalisti italiani dormivano ancora, o s'erano perduti nel viaggio. Questo vantaggio acchiappato al volo lo chiamano scoop. Ma non me ne accorsi, faceva molto freddo. Il missile, forse l'ultimo di quella prima notte, lo vidi passarmi sulla testa rapido e solenne come una stella di Betlemme. Avrei voluto tirar fuori dalla sacca il telefono satellitare e chiamare il giornale. Ma a quell'ora - che sull'orizzonte mostrava l'alba - il giornale era già impacchettato in edicola. Guardai il missile con rabbia, frustrato, impotente; non pensai nemmeno alla cometa di morte che si portava dietro. I giornalisti sono brutte bestie. Il mestiere li ha fatti così, che se non possono raccontare quello che vedono è come se la realtà nemmeno esistesse. Nel giornalismo d'oggi, gli scoop sono merce molto rara; ci sono agenzie di notizie dovunque, a Baghdad la Cnn montò poi una banda di 55 persone. Ormai, la realtà c'è sempre qualcuno che la vede prima di te. Fai lo scoop soltanto se hai fortuna, e se ti dai da fare. Qella notte, quando all'aeroporto di Amman vidi che nella piccola folla in attesa c'era anche Yassir, pensai che la fortuna l'avevo. Yassir fa l'autista, porta la gente da Amman a Baghdad che ha l'aeroporto chiuso da una vita; sono più di 1000 chilometri di deserto, chi li ha fatti non li dimentica. Yassir, l'avevo chiamato al telefono prima di partire dall'Italia. Per lui l'inglese è una lingua assai straniera, ma poi fu puntuale al terminal di Amman. Yassir lo conosco da molto tempo. Le cose gli sono anche andate bene: ora lui non fa più i viaggi a Baghdad, ora lui ha un'agenzia e spedisce in Iraq i suoi autisti. Quello cui mi ha affidato, un giordano palestinese come lui, si chiama Rommel. Sì, Rommel. Neanche io ci credevo. Poi, nel deserto, quando durante la corsa nella notte ci siamo fermati a far pipì, Rommel ha mostrato il passaporto e c'era scritto proprio Rommel Al Qudeishi. (Ma questa è un'altra storia.) Al mattino ero partito da casa come Pantani in montagna, dopo la notizia che gl'ispettori dell'Onu se ne scappavano dall'Iraq. Ora arrivai alla frontiera irachena (400 chilometri da Amman), che la radio di Rommel gracchiava di bombardamenti americani. Avevo un vecchio «visto» d'entrata, occorreva ungere le ruote. L'operazione mi dissanguò di 335 dollari, e Rommel se ne indignava; ma versai i bakshish senza fiatare, sentivo scorrere l'adrenalina del mestiere. Quando entrai a Baghdad m'aspettavo sfracelli. Trovai invece una città semiparalizzata dalla tensione ma senza traumi evidenti. Baghdad, quel mattino, non era Beirut, e nemmeno Sarajevo. Per ridurre Beirut a un fondale di muri ischeletriti, ci vollero dieci anni di guerra; ancora dopo 3 anni d'assedio, Sarajevo reggeva bene con strade e caffè di riservata dignità. Le bombe d'una notte scalfiscono appena il profilo d'una città; anche le bombe di quattro notti. Tanto più nel tempo oggi, quando ormai l'affinamento delle tecnologie elettroniche fa prendere la mira, ai missili, come faces- sero il tiro a segno. Girai per la città dopo essermi accreditato presso il ministero delle Informazioni. Accreditarsi significa pagare 200 dollari al giorno per avere il permesso di spostarsi con un accompagnatore ufficiale; «una guida, anche per la vostra sicurezza» dicono al ministero. E' soltanto un custode e un censore, che fa di tutto perché tu non veda nulla. Sono poveracci senza colpa, comunque. In guerra, il mestiere del reporter entra sempre in conflitto con l'autorità militare, che vorrebbe giornalisti ciechi, ubbidienti, e anche un po' sce¬ mi. Accadde al primo corrispondente di guerra, Bill Russell, che nel 1854 stava in Crimea per conto del «Times»; accade ancora oggi. Ci ho scritto anche un libro, per raccontare questa continuità immutabile. Quello che è mutato è la tecnologia: la tecnologia della guerra, ma anche la tecnologia del reporter. Per la prima, oggi le bombe intelligenti distruggono uno specifico bersaglio - il ministero dell'Industria militare, per esempio - senza far gravi danni all'intorno. Quando il missile americano, la seconda notte, s'infilò dentro il ministero dal tetto e lo svuotò, lo sposta- mento d'aria mi sfrittellò contro il muro della mia stanza d'albergo, che stava a una cinquantina di metri dal bersaglio; però non ci furono danni collaterali (solo i vetri di alcune finestre, frantumate dal botto). Durante la guerra del Golfo i danni collaterali erano stati assai più gravi di quelli diretti, perche soltanto il 10 per cento delle bombe «intelligenti» confermò la sua intelligenza. In questi giorni, andando in giro per Baghdad senza l'accompagnatore ufficiale potevi scoprire che quella proporzione si è invece capovolta. E le ferite della città non ricordavano nessuna Dresda. Quanto poi alle tecnologie del reporter, Russell oggi sembra l'uomo di Neanderthal. Ma lo sembra anche uno come Montanelli, che pure raccontò guerre non lontanissime da noi: la sua macchina da scrivere durante l'invasione sovietica dell'Ungheria oggi ò diventata un pc e un telefono satellitare, che se vuoi puoi chiamare il giornale nel momento stesso in cui il missile ti passa sopra la testa e tu sei nel l'ondo del deserto. Queste tecnologie ti aiutano a sottrarti al controllo (la censura insomma) del potere militare, che lì sigilla il telefono ma non conosce poi le inimmaginabili astuzie dei corrispondenti di guei ra Sono penalizzate le tv, perche il loro armamentario tecnico non gli consente nessuna furbizia, per la sua ingombrante evidenza. Ma un'immagine tv può cambiare la realtà. La notte che Clinton&Blair chiusero l'attacco, per le strade di Baghdad non ci fu un solo segno di gioia. L'operatore d'una tv americana chiese a un plotoncino di 6 miliziani del partito Baath di far finta che festeggiassero, e li inquadrò stretti, in «piano americano», mentre alzavano in aria i loro mitra e mostravano allegria. Era una volgare foto-posa, ma fece il giro del mondo e qualche giornale titolò per conformismo «Baghdad in festa». Dietro quella «festa» c'era il silenzio muto della città, però il silenzio non stava dentro l'inquadratura. In guerra la verità muore, uccisa dall'obbligo delle emozioni forti, nette. Su quelle emozioni la tv ci campa; molti giornali, goffamente la copiano. Mimmo Candito L'angelo custode del ministero della Informazione ti pedina ma ormai satellitari e computer possono beffare qualsiasi controllo

Persone citate: Bill Russell, Montanelli, Rommel