«Il Ppi non accetta ultimatum da Di Pietro» di Antonella Rampino
«Il Ppi non accetta ultimatum da Di Pietro» I popolari reagiscono con durezza e ironia al senatore che proponeva: scioglietevi e venite con me «Il Ppi non accetta ultimatum da Di Pietro» «Non cibare un erede del cattolicesimo democratico» ROMA. «Non voglio dire che Antonio Di Pietro non capisce la politica, ma certo uno che mette il suo nome bello grosso in calce al simbolo di un partito...». Anche Enrico Franceschini, vicesegretario dei popolari, è tentato dall'ironia se gli si chiede un commento all'invito rivolto ieri dal senatore del Mugello ai Popolari ieri, proprio dalle colonne della Stampa, «il Ppi dovrebbe trovare l'umiltà di sciogliersi, di annullare la propria classe dirigente e confluire in una forza che comprenda tutte le forze moderate che credono nel bipolarismo». La tentazione di Franceschini è nella linea espressa per conto del secondo piano di Piazza del Gesù dal presidente Gerardo Bianco, «non sarà che Di Pietro ha mal digerito un pesante pranzo di Natale?», dal capogruppo alla Camera Antonello Soro, che più o meno solleva una facile obiezione, tanto Di Pietro non è mica De Gasperi. E se De Mita si rifiuta anche di prendere in cosiderazione la sortita dipietrista, se Guido Bodrato insorge con un «è un ultimatum mussoliniano», Angelo Sanza.l'ex de oggi nei ranghi cossighiani, dice che «Di Pietro vorrebbe guidare un grande raggruppamento di centro perché 1 Italia dei valori non ha storia, cultura e progetto». In realtà il ragionamento non investiva solo i Popolari, ma anche il «partito dei sindaci», i so- cialisti, Prodi, insomma tutte le componenti dell'Ulivo zona centro, ovvero tutte le forze della coalizione, diessini a parte. Come dire: le formazioni moderate e centriste si sciolgano in un unico movimento, in modo che nella coalizione di centro-sinistra vi sia un bilanciamento alla sinistra. Infatti, il ragionamento trova un sia pur cauto consenso in Franco Monaco, l'uomo che è forse in questo momento più vicino all'ex inquilino di Palazzo Chigi, il quale nota che in fondo Di Pietro pone un problema reale, rafforzare l'area di centro in seno all'Ulivo, «ma si spinge troppo avanti, la proposta di scioglimento del Ppi è audace». Stessa musica da parte di un altro degli stretti collaboratori di Prodi, Arturo Parisi: il giudizio di Di Pietro sulla classe dirigente dei Popolari «non può essere condiviso», ma l'ex pm mostra di avere «fede» nell'Ulivo. «Di Pietro pensa a un soggetto politico unico in cui confluiscano tutti quelli che non sono Ds, e cioè che stanno insieme per il fatto di essere alleati dei Democratici di sinistra, ma diversi da loro. Questa prospettiva non ci interessa e non ha né capo né coda», dice Franceschini. «E questo perché noi lavoriamo per allargare e aggregare l'area dei cattolici democratici che sta nel centrosinistra, un'area con valori e riferimenti precisi». Velatamente, l'accusa che i Popolari rivolgono a Di Pietro è quella di non essere abbastanza «democratico». Infatti, Renzo Lusetti parla di «fatica a vedere in Di Pietro un erede del cattolicesimo democratico», e denuncia invece un disagio nei rapporti con l'ex pm, «con il quale non abbiamo grande omogeneità politica». Antonello Soro dice che i Popolari «rispondono a principi di democrazia molto differente, una democrazia partecipata con tutte le difficoltà del nostro tempo». E Franceschini, appunto, retoricamente si chiede «che altro ci si può aspettare da uno che mette la sua effigie sotto il nome del partito che ha fondato?». Ragionamenti tutti che valgono a dire che Di Pietro, per concezione della politica e «culto della personalità» tutto può essere fuorché un cattolico moderato. Sullo sfondo, ad agitare la querelle, vi sono naturalmente le elezioni europee. La discussione e il posizionamento politico non sono però in vista di quell'appuntamento: piuttosto esso serve a ridefinire le aree e le formazioni in un periodo di transizione ed evoluzione verso il bipolarismo. Franceschini rivolge infatti a Di Pietro un'obiezione non diversa da quella che Francesco Cossiga muove a Romano Prodi quando gli ricorda, come ha fatto ancora qualche giorno fa in un'intervista al Corriere della Sera che l'Ulivo in Europa non esiste, e quindi l'ex presidente del Consiglio dovrebbe decidersi a iscriversi al partito popolare e confluire così nella grande area cattolica di centro europea. «In Europa ci sono delle famiglie politiche, i popolari, i conservatori, i socialdemocratici, gli ambientalisti... E' a queste famiglie che ci si collega: in Europa l'Ulivo non c'è» obietta Franceschini. Già: in Europa l'Ulivo non c'è. «Ma c'è il centro-sinistra, che è poi la stessa cosa: in Europa cattolici e socialdemocratici governano insieme in un sacco di Paesi. Dunque, la scelta politica nostra è condivisa da molti: ci sono coalizioni di partiti. Di Pietro, invece, lavora per una prospettiva politica che a noi non interessa». E sarebbe? «Stare insieme in una coalizione, non perché si ha un'identità, ma costruendo la propria identità contro qualcuno». Contro la sinistra, per esempio. Antonella Rampino Il senatore Antonio Di Pietro, leader del movimento «Italia dei valori»
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