In cielo la nuova sfida di Saddam

In cielo la nuova sfida di Saddam Washington e Londra replicano: i nostri piloti hanno l'ordine di sparare in caso di attacco In cielo la nuova sfida di Saddam NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Sale di nuovo la febbre in Iraq, stavolta su un problema di cui molti si erano forse dimenticati: quello della «no fly zone», cioè la porzione di cielo iracheno (in pratica più della metà) in cui gli aerei militari di Saddam Hussein non sono autorizzati a volare. Baghdad ha annunciato di avere sparato l'altro ieri contro alcuni aerei «nemici» che, provenienti dal Kuwait e dall'Arabia Saudita, erano penetrati in quella zona. Poi, per bocca del suo vice Presidente Taha Yassin Ramadan, ha spiegato che questa storia della «no fly zone» deve finire e che d'ora in poi quei voli non saranno più tollerati. La mossa ha una forte potenzialità di riaccendere il conflitto perché americani e inglesi non hanno alcuna intenzione di porre fine a quei voli di «pattugliamento». Furono stabiliti nel 1991, all'indomani della Guerra del Golfo, per impedire all'aviazione irachena di colpire quelli che Saddam Hussein considera i suoi naturali nemici interni: i curdi che vivono nel Nord del Paese e gli sciiti che vivono al Sud. Così, fu stabilito dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu sette anni fa, nessun aereo iracheno poteva volare più a Nord del 36" parallelo o più a Sud del 32°, e Stati Uniti, Inghilterra e Francia si assunsero l'incarico di far rispettare quella decisione. Gli iracheni naturalmente non l'hanno mai accettata formalmente e sporadicamente ci sono stati anche degli incidenti. Ma sostanzialmente, nel corso di questi anni, l'unico vero problema della «no fly zone» era il suo costo che Washington, Londra e Parigi si stavano sobbarcando. Ma tutto questo fino all'altro ieri. All'«ora basta!» lanciato dal vice Presidente Ramadan ha risposto il Pentagono dicendo che gli aerei americani incaricati di «pattugliare» la zona sono pronti a rispondere al fuoco. «Noi continueremo ha garantire il rispetto della no fly zone sia al Nord che al Sud», ha detto Peter Crowley, portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale americano. «L'Iraq sa che non deve interferire con i nostri voli e che i nostri piloti hanno l'ordine di agire in propria difesa se si sentono minacciati». La stessa cosa ha detto il ministero della Difesa inglese, mentre da parte dei francesi, partner in quel compito ma schierati su un altro versante in occasione dei recenti attacchi aerei contro l'Iraq, fino a ieri pomeriggio non c'era stata una reazione ufficiale. Quanto agli spari della contraerea irachena, ci sono stati, hanno detto americani e inglesi, ma siccome erano molto lontani e non costituivano nessuna minaccia effettiva, i loro piloti non hanno ritenuto necessario rispondere. In sostanza, l'Iraq sembra più interessato a tenere alta la tensione (forse in vista della discussione che un Consiglio di Sicurezza molto diviso si appresta ad avere) che a impedire davvero a quei voli di continuare. Al vice Presidente Ramadan, che ha fatto il suo annuncio durante un'intervista alla tv del Qatar, è stato chiesto perché, dopo tutti questi anni, l'Iraq ha deciso solo adesso che la no fly zone è intollerabile, e la sua risposta è stata: «Quando si lotta per riaffermare i propri diritti bisogna saper scegliere le circostanze più favorevoli». Dunque la situazione che l'operazione «Volpe del Deserto» ha creato è considerata «favorevole» dagli iracheni, nonostante il successo proclamato da Bill Clinton e Tony Blair e nonostante la spiegazione «tecnica» che Sandy Berger, il consigliere di Clinton, ne ha dato, e cioè che Saddam ora «è più debole, la capacita di contenerlo è più forte e il Medio Oriente è più sicuro». Non è d'accordo Richard Haas, specialista «non governativo» di questioni mediorientali, secondo il quale «gli ispettori non sono tornati, Saddam è sempre lì e le nostre alleanze nella regione e nel resto del mondo si sono in qualche modo indebolite». Il punto, secondo Haas ed altri, è che forse gli Stati Uniti si sono «intrappolati da soli», impegnandosi in questa vicenda a tempo indefinito. Ogni giorno che passa, il costo dello spiegamento americano nella regione del Golfo aumenta di 9 milioni di dollari ( 15 miliardi e mezzo di lire) e quest'anno quella voce peserà sul bilancio militare con 3 miliardi di dollari (5000 miliardi di lire) in più. L'escalation di ostilità verbale da parte irachena si è manifestata ieri anche con la minaccia di espellere gli operatori dell'Onu incaricati di gestire gli aiuti umanitari e di respingere la proroga del programma «petrolio in cambio di cibo» inteso a sfamare la popolazione civile. La doppia sortita è stata profferita dal ministro per il commercio Mohammed Mehdi Saleh, il quale non ha però detto quando sarà ingiunto agli operatori Onu di andarsene. Il programma «petrolio in cambio di cibo» scade a fine aprile. Franco Pantarelli Un ministro iracheno: via gli operatori umanitari dell'Onu e no al rinnovo del programma «petrolio in cambio di cibo» Baghdad: la no fly zone è abolita d'ora in avanti parlerà la contraerea I caccia americani dovranno opporsi alla nuova sfida irachena: la minaccia di abbattere gli aerei che pattugliano la no fly zone proclamata dalle Nazioni Unite nel '91 SIRIA | BAIJI« DARBANDIKHAN < 'EUFRATE HABBANIYAH,,, ^BAGHDAD) IRAN