VALZER di Sandro Cappelletto
VALZER Una frenesia contagiosa nata a fine 700 fra i contadini: il suo nome deriva da un verbo tedesco che significa «rotolarsi come i maiali» VALZER Mimo bcdb dell'Europa BRIMA di cominciare, la coppia deve essere già allacciata, stretta alla vita, nelle braccia, nelle mani, lui cortesemente imperioso, lei sostenuta, ma docile. Pronti a sentire il primo accento della musica, così forte, perentorio. Avanti allora il piede sinistro, strisciando, poi il destro, ancora scivolando sul pavimento e compiendo un arco, aprendo il cerchio che sarà chiuso dal sinistro. Siamo alla seconda battuta, avanti ora il sinistro, poi il destro e alla fine delle due battute, lui e lei sempre stretti, sempre guardandosi fissi, sempre sorridendo, sempre più cercando di perdere peso, come se piedi e gambe possano andare per conto loro, avranno compiuto una rotazione completa, disegnando il primo dei due cerchi di un otto. Accanto a loro, vorticano altre coppie, mentre i giri diventano più rapidi, irresistibili, e nella sala si inanellano uno dentro l'altro cerchi perfetti, ampi e flessuosi come la gonna del vestito di lei, e otto dopo otto si disegna l'immagine nitida di un'aspirazione all'infinito, raggiunto attraverso l'ebbrezza di una danza. Valzer, ultimo ballo inventato dall'Europa capace di portare i suoi passi ovunque, ultima sintesi di musica e corpo, di pensiero e di gesto. Strauss, il doppio anniversario Ogni primo dell'anno centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, ancora intontite da veglioni e cenoni, si rappattumano insieme per ascoltare il Concerto di Capodanno trasmesso in mondovisione. Il rito venne officiato la prima volta nel 1939, quando ormai batteva in Europa l'ora della catastrofe. Quest'anno salirà sul podio Lorin Maazel. A Vienna, dove il valzer non era più soltanto un ballo ma era assurto al valore di un archetipo, per volontà dell'orchestra viennese per eccellenza, i Wiener Philharmoniker, e di un direttore di sangue viennese e di carriera mitteleuropea, Clemens Krauss. Dopo sessant'anni, puntualmente ancora si compie l'ostensione del «caro spettro», viatico per l'anno nuovo, perché i giorni che cominciano possano scivolar via nell'illusione della leggerezza perfetta di una coppia che ballando disegna il cerchio della vita e non si scioglie mai. Le musiche sono sempre le stesse, purtroppo anche le coreografie, ma nessuno osa modificare il rituale. La messa in suffragio della Vienna felix e di un'Europa che non c'è più deve celebrarsi con ossessiva ripetitività, e il prossimo anno la cerimonia sarà senza tregua: 1999, doppio giubileo del valzer, nella commemorazione di Johann Strauss padre e di Johann Strauss figlio, il primo morto nel 1849, il secondo cinquant'anni dopo. Ai funerali di Johann I presero parte centomila viennesi: i nobili, i borghesi e anche i proletari che, soltanto un anno prima, durante i moti del 1848, avevano fischiato la sua Marcia di Radetzky, dedicata all'inflessibile Feldmaresciallo che aveva rapidamente dissolto le barricate repubblicane e i primi sogni patrii degli italiani e di Carlo Alberto. Quando, mezzo secolo dopo, morì suo figlio, che aveva fatto ballare il valzer anche al Danubio, sopra le cui acque ancora volteggiava l'Aquila asburgica, un sondaggio d'opinione (lo ricorda Roberto favino nel documentato e avvincente Gli Strauss - Una dinastia a tempo di valzer, appena edito da Giunti) poneva in cima alla classifica della celebrità i seguenti eu- ropei: la regina Vittoria, il cancelliere Bismarck, Johann Strauss II. Esiste oggi un musicista altrettanto amato? Quando nacque, alla metà del '700, figlio di molti padri - i balli popolari della Baviera, delle valli austriache e svizzere, della Boemia - e probabilmente di una sola madre, il Làndler, il valzer venne giudicato sfrenato, immorale, licenzioso e fu oggetto di anatemi: «Una danza sfacciata, con una licenziosità che viene ricambiata dal comportamento compiacente delle femmine». Uomini e donne non più separati o a cui viene consentito di toccarsi rapidamente e senza formare una coppia fissa, ma un uomo e una donna sfrontatamente abbracciati, liberi di perdersi insieme, oltre la galanteria rigida e lenta del minuetto, che proprio in quegli anni comincia a morire, come ballo e come immancabile movimento di una sinfonia. Lo sdegno è tale da far proporre un'etimologia più volgare: quel nome non deriva dal verbo walzen (girare, trascinare i piedi), ma dal riflessivo sich walzen, rotolarsi, sporcarsi, come i maiali. «Mai, giurai, una ragazza che io amassi e verso la quale avessi delle pretese, mai ti dico dovrebbe ballare il valzer con altri se non con me, anche se mi dovesse costare la vita», scrive Wolfgang Goethe nei Dolori del giovane Werther. La nuova danza manda a gambe all'aria i compassati rituali delle danze e marce di corte, viene fatta propria dalla borghesia che s'innamora della libertà nuova di quei volteggi, rubati ai contadini che li hanno inventati. Arriva e passa il tempo della rivoluzione e delle guerre napoleoniche e le monarchie europee si ritrovano a Vienna: «Il Congresso non marcia, danza», sentenzia un vecchio aristocratico nato al tempo dell'Ancien Regime, Charles-Joseph, principe di Ligne. Anche le teste coronate si piegano a quella frenesia, nata prima della presa della Bastiglia, che nel frattempo diventa industria: ogni giorno nascono nuovi valzer, si balla nelle strade, nei saloni, nelle feste private. Gli Strauss scrivono valzer esattamente come oggi si fabbricano le canzoni: pressati dalle scadenze, da sempre nuove occasioni, a qualcuno di loro - padre, figlio, uno degli orchestrali cui danno da vivere - «veniva sempre in mente qualcosa», come assicurava Johann Strauss fi glio: una melodia che rapidamente bisogna orchestrare, ripetendo sempre la formula vincente, ma ogni volta con un'invenzione timbrica diversa. Quando il sole splende alto sull'industria musicale degli Strauss, il valzer ha già iniziato a percorrere la strada della separazione tra sala da ballo e sala da concerto. Tutti scrivono valzer, dalle Trentatré variazioni su un valzer di Diabelli di Beethoven, ai valzer di Chopin, Liszt e Brahms, ma la volante felicità della danza comincia già a rattrappirsi nell'ombroso abbraccio del ricordo, della nostalgia. Più quel mondo cambia, più il valzer ne evoca la lontananza, il rimpianto. Quel ritmo di 3/4, partorito rustico, cresciuto borghese, immancabile colonna sonora per la ragazza di fine Ottocento che debutta in società conciliando sensualità e pudore, diventa, nella testa dei compositori, immagine di un tempo perduto. Ai valzer ancora ballabili dei balletti di Ciaikovskij si contrappongono le citazioni di Gustav Mahler: i suoi Tempo di walzer sono fantasmi che subito annegano travolti da ben più corposi fragori sonori. Parodie di Ravel e Stravinskij Malaticci frammenti affiorano anche in Petmska e L'histoire du soldat di Igor Stravinskij. «Ho scritto l'apoteosi del walzer viennese», pretende Maurice Ravel quando compone La valse, un «poema coreografico», la messa in scena di un salone da ballo della Vienna di Francesco Giuseppe che si trasforma in parodia, anche violenta, superando il punto di non rottura. E' il 1922, e il primato dei balli che nascono in un luogo e s'impongono ovunque è ormai passato alle Americhe, del Sud e del Nord; dalla geometrica e fatale sensualità del tango, fino alla autistica frantumazione di ogni continuità del gesto nella break dance. Da oltre un secolo gli europei hanno smarrito la capacità di pensare una musica che diventi un passo: il Novecento europeo ha separato la coerenza, la continuità tra invenzione musicale e azione figurata. L'aurora del cancan è stata di dimensioni troppo circoscritte per ambire a un primato, ed è da tempo tramontata. Charleston, tip-tap, boogie-woogie, mambo, rock, twist, rap, cha-cha-cha, samba, lambada, macarena, sono state tutte invenzioni extra-europee. Nessuna di queste danze considera l'unità della coppia come principio e fine: il «lancio» della donna è numero irrinunciabile del rock, nel twist la coppia non si tocca, negli altri balli il partner non c'è o non ha importanza che sia uno, quello. Il tango è danza di coppia, ma l'idea della morte non è estranea né ai suoi passi, massimamente nel casquet conclusivo, né a una musica tanto languida quanto violenta, finale. Nel valzer batteva invece il tempo di un eros vitale e mai funerario, dell'ostinata fiducia in una felicità che da una coppia, che non si scoppia mai, si contagia all'altra, coinvolgendole tutte. L'ultima grande illusione europea. Sandro Cappelletto A sinistra Strauss padre, a destra Strauss figlio
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