«Fatemi rientrare in Italia»

«Fatemi rientrare in Italia» Nel messaggio di auguri agli italiani il principe attacca la classe politica: «Anni di promesse» «Fatemi rientrare in Italia» Vittorio Emanuele-, basta con i rinvìi IL CASO L'ESILIO INFINITO DEI SAVOIA ROMA. Sono sedici righe. «Italiani! Da troppo tempo viene annunciata come imminente la fine dell'esilio mio e di mio figlio, ma tale sacrosanta decisione viene ogni volta rinviata». Il messaggio di auguri del Principe Vittorio Emanuele ha lo stemma dei Savoia, una firma e una data: Ginevra, 24 dicembre 1998. La chiosa è lasciata a un grido: «VIVA L'ITALIA». E' la storia infinita di un esilio e della sua fine che riappare puntualmene a ogni cambio d'anno, a ogni inizio legislatura, a ogni promessa, a ogni voto. E tutte le volte è come l'ultima, qualche dichiarazione, qualche gaffe, qualche spinta, qualche frenata. Quando i giornalisti lo andarono a trovare, Vittorio Emanuele una volta scivolò su Priebke e una volta sulle leggi razziali. Da queste parti delle Alpi non si sono mai smossi più di tanti per questi equivoci. E se gli italiani continuano ad aspettarlo, come dicono i sondaggi, lui comincia a stancarsi di aspettare. Gli chiede il cronista: come avrebbe passato il Natale a casa sua, nel suo Paese? Risposta piccata: «Prima fatemi rientrare e poi vi dico come l'avrei passato! Tutte queste do- mande su un futuro che non c'è non hanno più senso. Lo sa da quanti anni me le sento fare, come se il prossimo dovesse essere quello buono?». Quanti anni? Questa storia infinita di un esilio che non finisce mai cominciò nell'82, quando Re Umberto fu portato da Cascai alla London Clinic di Londra per il tumore che gli avrebbe dato la morte il 18 aprile dell'83. Ci furono appelli, messaggi, promesse, fino alla convocazione notturna del Parlamento. Poi, nel pieno della riunione, un deputato del pei si alzò e propose un rinvio. L'ora tarda, la stanchezza: ima pausa di riflessione, allora si diceva così. Il Parlamento approvò. E re Umberto morì. Da allora, puntualmente, all'inizio di ogni legislatura, deputati diversi di tutti i partiti presentarono la pro¬ posta abrogativa della 13ma disposizione costituzionale, quella dell'esilio. Quello più assiduo, o più fedele, è l'onorevole Enzo Trantino. Dietro a lui, però, c'è un elenco che può stupire, visto che fra quei parlamentari, come annota Sergio Boschiero, il segretario nazionale della Federazione Monarchica italiana, «ci sono pure il repubblicano Mammì e Umberto Bossi». Le cose non cambiarono. E le proposte, ripetute tutte le volte come mi rituale, non andarono mai oltre a una delle due commissioni. Nel '96 arrivò quella che sembrava un'accelerazione. Il settimanale Gente pubblica una lettera firmata da Prodi, nella quale il futuro premier si dice «favorevole all'abrogazione dell'esilio del principe ereditario Vittorio Emanuele IV». Te- stuale. Sembra la lettera di un monarchico. Prodi vince le elezioni e il suo governo sponsorizza un'iniziativa per far rientrare i Savoia in Italia. Siamo alla fine di aprile del '97. Vittorio Emanuele a Ginevra riceve qualche giornalista. Ci crede, «con prudenza», dice, ma ci crede. E in effetti all'inizio l'iter cammina abbastanza veloce: nel dicembre del '97, la Camera vota con 284 sì e 173 no l'abrogazione della tredicesima disposizione. Solo che dopo si ferma tutto lì. La proposta arriva alla Commissione affari costituzionali del Senato e da un anno è sempre allo stesso posto. Adesso, è in calendario per Ù 15 gennaio del '99. In mezzo, ci sono diffidenze e inviti. Ci sono quelli che chiedono il suo rientro, ma come mi cittadino limitato nei suoi diritti politici. Poi ci sono quelli che fanno notare come nel trattato di Schengen, l'Italia sottoscrisse i patti senza una deroga che riguardasse l'esilio dei Savoia. E senza questa riserva, Vittorio Emanuele potrebbe tornare passando da uno qualunque dei Paesi che ha aderito al trattato. Altezza, perché non lo fa? «Perché non mi interessano le scappatoie, perché questo non mi interessa. Io voglio rientrare con tutti i crismi, e credo d'averne diritto». Lei ha scritto, nel messaggio d'auguri agli italiani: da troppo tempo viene annunciata come imminente la fine dell'esilio. Da quanto tempo? «Non lo so più. So soltanto che è una cosa talmente assurda che dovrebbe essere tolta e basta. Perché se sono così forti, se ormai si sentono così sicuri, hanno paura di noi? E se davvero lo vogliono, come dicono a parole, perché non ci lasciano entrare?» Secondo lei perché? «Non lo so proprio». S'è fatto un'idea? «Io no. Vedo che tergiversano. Ne prendo atto» Ma, secondo lei, adesso con D'Alema al governo, questo iter è più difficile? «Dipende da cosa vogliono fare. Sa, parole ne ho avute tante finora, e non s'è fatto niente. Io credo che siano come gli altri. Vediamo. Una cosa è certa: se lo vogliono davvero, lo fanno». Crede che il suo rientro possa dividere gli italiani? «Ma no, perché mai? E' una questione che non si pone. E perché mai dovrei rientrare per dividerli? Io voglio essere come un privato cittadino e rappresentare storicamente quello che ha sempre rappresentato la mia famiglia». Altezza, perché questo messaggio agli italiani? «Le devo dire: mio padre l'ha sempre fatto, ed è stato sempre apprezzato. E allora continuo a farlo, è una tradizione. Tutti gli anni». Sia sincero. A questo punto, si sente preso in giro dai politici italiani e dai governi? «No. Ma, credo, un po' dimenticato e messo da parte. Sì. E' per quello che spero che adesso che abbiamo festeggiato il 50mo anniversario dei diritti dell'uomo, qualcosa lo facciano. Anche per me. Sono un uomo anch'io». Cosa dovrebbe veramente succedere secondo Lei per cambiare questa situazione? «Legalmente parlando, dovrebbe succedere, come io vorrei, che la proposta passasse attraverso la Camera, 0 Senato e le due camere congiunte. Che mi lascino entrare abrogando questa legge che, fra l'altro, ironia della sorte, era transitoria». Tutti i sondaggi dicono che gli italiani sono per il suo rientro. Cosa ne pensa? «E' vero. Assoultamente sì. Ricevo lettere, telefonate, incontro un mucchio di gente che la prima cosa che mi dice è: "scusi, quando rientra?" Devo rispondere: "quando voi mi lasciate"». Comincia a essere pessimista? «Assolutamente no. Sono convinto di rientrare». Nella proposta ferma alla Commissione Affari costituzionali del Senato in cui si parla di abrogare la 13ma disposizione, c'è chi vorrebbe mantenere l'impossibilità per i Savoia discendenti di essere eletti o elettori, o di ricoprire uffici pubblici. Che ne pensa? «No. Trovo che se lo fanno lo devono fare in pieno. Non possono fare una cosa a metà. I diritti dell'uomo li ho anch'io, come tutti gli essere viventi». Lei non sarebbe disposto a rientrare come un cittadino limitato nei diritti politici? «Ma no, lo ripeto. Non è che quando io rientrerò in Italia, andrò a cercare di fare chissà che cosa. Queste cose le vedremo dopo». Cosa vorrebbe dire agli italiani che la stanno aspettando? «Beh, allora: vorrei dire che li ringrazio molto e chiedo loro di aspettare. Tra poco spero di essere con loro, accanto a loro». Pierangelo Sapegno «Se sono così forti così sicuri perché hanno paura di noi?» «In base al patto di Schengen potrei anche rientrare, ma non mi interessano certe scappatoie» «Non sono d'accordo sull'idea di limitare i nostri diritti» Vittorio Emanuele di Savoia con il figlio e la moglie Marina

Luoghi citati: Ginevra, Italia, Londra, Roma, Savoia