«Da noi un no alla sua libertà»

«Da noi un no alla sua libertà» «Da noi un no alla sua libertà» Iparenti della vittima: trauma mai guarito DEL GIOIELLIERE ASSASSINATO ITORINO L passato non muore mai. Né per chi ha trascorso 28 anni di vita dietro le sbarre, né per chi da 28 anni vive nel ricordo di un padre e un marito ucciso a colpi di pistola per difendere se stesso e il futuro della sua famiglia. Più di un quarto di secolo a chiedersi: «Se papà non fosse stato ucciso, chissà come sarebbe andata la mia vita e quella di mamma». Vilma Baudino è una bella ragazza di 38 anni. Quando papà Giuseppe morì, ucciso nel negozietto di corso Agnelli 90 da Giorgio Penizzari e la sua banda, frequentava la quarta elementare. Di quel giorno il ricordo più vivo, immediato, è la vetrina del negozio. «Ero piccola, papà aveva già subito altri assalti e furti. Mi dissero che c'era stata un'altra rapina. Quando passai davanti al negozio mi colpì il fatto che il cristallo fosse intatto. Mi aspettavo un buco, perché rapina e vetrina rotta, per me bambina, erano un tutt'uno. Invece nulla. E mi preoccupai. Solo il giorno dopo mamma mi disse che papà non c'era più», sorride triste Vilma. La figlia Dalila, 5 anni, capelli biondi lunghi e occhi scuri, gioca poco distante nel salotto di casa. Nonna Maddalena, 66 anni, è seduta nel divano accanto: gli occhi sono puntati sul televisore, ma il suo cuore è attento allo sconosciuto piombatole in casa il pomeriggio di Santo Stefano a sollecitare ricordi e giudizi, a rinnovare il dolore. «La notizia della libertà non ci giunge inattesa - commenta Vilma Baudino -. A febbraio erano venuti quelli della Digos a chiedere il nostro parere sulla grazia a quell'uomo. In passato, alla nostra porta avevano già bussato i carabinieri per CarcQllo (l'altro complice di Panizzari, anche lui condannato all'ergastolo per l'assassinio dell'orefice, ndr). Entrambe le volte abbiamo risposto "no". Non tanto per Panizzari e Cardillo in quanto singole persone, anche se le "gesta" dell'uno e dell'altro in carcere e fuori hanno sempre lasciato sgomenta me e mia madre, ma un "no" dettato dallo sconforto, dall'ira che provo, proviamo, nei confronti di una società che dalla tragedia che ci ha colpite, invece di migliorare è solo e sempre peggiorata». Quel 14 ottobre del 1970, la morte di Giuseppe Baudino, un uomo fattosi da solo e che a 44 anni vedeva realizzato nel ne- gozio di corso Agnelli con abitazione nel retrobottega il sogno di una vita, impresse una svolta nella vita della città. Una svolta verso il peggio: verso il dilagare della criminalità, verso i feroci anni di piombo, verso il buio. Un crimine che commosse Torino. L'unico aiuto («Non eravamo assicurati» ricorda Maddalena Baudino) arrivò dai cittadini che risposero con entusiasmo alla raccolta di l'ondi organizzata da «Specchio dei tempi». Poi il buio, anche nella famiglia Baudino. Maddalena tentò ancora per un paio d'anni di portare avanti il negozio di corso Agnelli, ma dovette gettare la spugna. «Troppa paura. Un paio di volte mi accorsi anche d'essere seguita. Vendetti tutto e andai a lavorare. Avevo una figlia da crescere». Vilma continuò a studiare, ma fu obbligata a rinunciare al suo sogno giovanile di fare il medico: «Il mio pallino», dice sorridendo. Anche lei fa l'impiegata, mentre la mamma è ormai in pensione. «Mi sono accorta veramente della mancanza di papà verso i 18-19 anni, quando un giovane deve decidere cosa fare della propria vita. Fino a quel momento la mamma aveva sopperito a tutte le mie esigenze. Ma io avevo bisogno di un papà e lui non c'era e mai ci sarebbe stato». Pochi, tra i colleghi di lavoro e gli amici, sanno quale dramma sta alle spalle di Vilma. «All'inizio evitavo di parlarne perché mi sembrava che nella curiosità di chi mi stava intorno ci fosse qualcosa di morboso. Poi ho continuato a non parlarne con nessuno. Perché? Forse perché non ho mai completamente assimilato quel trauma». Ventotto anni, dunque, trascorsi a rimuovere ricordi impossibili da rimuovere. E quando l'oblìo sembrava prendere il sopravvento ecco quell'uomo spuntare dalle pagine dei giornali, sullo schermo della tv: Panizzari che sequestra in carcere un agente di custodia, Panizzari che viene arrestato per una rapina compiuta in semilibertà, Panizzari che guida la rivolta nelle carceri. Un incubo. Un incubo iniziato il 14 ottobre del 1970 e mai finito. Beppe Minello «Mia madre ed io siamo sempre rimaste sgomente di fronte alle "gesta" di quest'uomo» Folla davanti all'orologeria Baudino subito dopo la rapina in cui morì il titolare Era il 14 ottobre 1970 Per quel fatto Panizzari si è sempre proclamato innocente ma la Cassazione rese definitivo l'ergastolo

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