Le uccidono la sorellina, per vendetta
Le uccidono la sorellina, per vendetta Milano: la ritorsione sarebbe scattata dopo la prima fuga dai protettori Le uccidono la sorellina, per vendetta A una ragazzina albanese che non voleva prostituirsi MELANO. Per Natale gli agenti del commissariato Garibaldi le hanno regalato un orsacchiotto di peluche. A Silvja H., un'albanese di quindici anni, sarebbe bastata una telefonata, per renderla felice. Quella di sua sorellma Mira, una bambina di cinque anni forse uccisa per convincere la sorella a tornare sulla strada, almeno un milione al giorno secondo le pretese dei suoi sfruttatori. «Non abbiamo conferme che Mira sia stata veramente uccisa, attendiamo notizie da Fier in Albania», non si sbilanciano in Questura. Ma la speranza è che la storia non sia vera, sia solo rimasta una minaccia, come tante altre volte. E allora rimane solo il racconto di Silvja e il verbale di Nezir Lushkay, suo cugino, il suo sfruttatore, che ai magistrati nega tutto. Quella di Silvja è l'odissea di una delle tante ragazzi albanesi, prelevate a forza, bnbarcate su un gommone e poi in treno fino a Mi¬ lano, fmo a piazza Lugano dove era costretta a prostituirsi dopo essere stata ripetutamente violentata da suo cugino Nezir e dal fratello di questi, ricercato per sequestro di persona, violenza carnale, sfruttamento della prostituzione ma non ancora per omicidio. «Mi hanno stuprata e picchiata per farmi prostituire. Cinquantamila lire da ogni cliente, almeno venti clienti a notte», racconta Silvja, su un marciapiede dal 4 giugno. Per quattro mesi, fino all'inizio di ottobre, quando disperata bussa alla porta del commissariato e denuncia i cugini, lo sfruttamento, la vita per strada. Silvja finisce in un centro di accoglienza gestito dalle suore a Milano. Ci rimane quindici giorni. Fino a quando da Fier riceve una telefonata dalla madre, che racconta le minacce ricevute dai cugini. Fino all'uccisione della piccola Mira, sgozzata davanti a tutta la famiglia. «Allora ho deciso di scappare dalla comunità e sono tornata sulla strada», racconta ancora Silvja. Che prima di fuggire si confida con un'amica conosciuta nel centro di accoglienza, un'albanese come lei. L'amica si offre di tornare in Albania, di andare ad accertare come si siano svolte veramente le cose. Ma non c'è tempo. Il 18 dicembre Silvja è di nuovo davanti alla polizia. Scappata per la seconda volta ai suoi aguzzini, che l'hanno nuovamente picchiata per avere «guadagnato» solo 300 mila lire in una notte. «Sono tornata da loro perché i cugini Lushka hanno minacciato di uccidere anche mi'altra mia sorella di nove anni e mio fratello di 12», racconta ancora lei. E la storia per ora si interrompe qui. Silvja aspetta nel centro di accoglienza. Nezir Lushka aspetta in carcere di essere creduto. E il pubblico ministero Lamanna e il gip Paparella sperano in una smentita ufficiale dall'Albania. (r. m.]
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