Pena di morte, Clinton dice no al Papa

Pena di morte, Clinton dice no al Papa Il Presidente non vuole andare contro l'opinione pubblica favorevole alle esecuzioni Pena di morte, Clinton dice no al Papa Respinto l'appello di Natale NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO L'unica cosa alla quale Bill Clinton sa essere fedele è la sua natura: una e bina, capace di intendere ogni concetto e parola in due maniere, a seconda del suo personale vantaggio. Prendete la «clemenza», ad esempio. Quella che ha invocato per se stesso, davanti alla famiglia, al congresso e alla nazione da lui ingannati. Quella che Hillary ha auspicato, in tempo di feste e di bontà all'ingrosso. E guardate come applica il concetto di «clemenza» sulla soglia di fine anno, alla vigilia di un '99 che ne deciderà le sorti, il presidente double-face. Nei panni di un Santa Claus bonario perdona con l'indulto 33 condannati tra i quali, non per caso, si trovano tre accusati di aver mentito sotto giuramento. In quelli di un inflessibile tutore delle regole che il Paese si è dato rifiuta, anche di fronte all'appello del Papa, di prendere in considerazione il bando, la moratoria o, almeno, la discussione, sulla pena di morte. La sua portavoce Amy Weiss se la cava con tre righe di comunicato: «Apprezziamo i punti di vista del Papa, ma la posizione del presidente sulla pena capitale è nota». E ha ragione. Tutti sanno come la pensa Clinton. Perché lui sa come la pensa la gente e si adegua. Nell'intimo, probabilmente, sarebbe incline a graziare chiunque, a futura memoria, si sa mai. Ma una cosa che ha imparato è guardare con attenzione i sondaggi e farsi un'opinione in linea con quello che gli suggeriscono. Poiché nel '92, quando correva per la Casa Bianca, risultava che la grande maggioranza della popolazione fosse favorevole alle esecuzioni capitali, il candidato democratico e progressista interruppe la sua campagna elettorale per correre in Arkansas, Stato di cui era governatore, e firmare la condanna a morte di Robert Anton Harris, poi entrato nelle casistiche dell'assurdo perché era evidentemente minorato nelle facoltà mentali, almeno parzialmente incapace di intendere e volere; al punto che, guardando gli avanzi dell'ultimo pasto, raccomandò alle guardie che venivano a prenderlo per condurlo alla camera della morte: «Tenetemi da parte gli avanzi per domani, grazie». In questo anno nel quale i sondaggi sono stati l'unico conforto del presidente incriminato, non può certo sfiorarlo l'idea di andare contro il parere della gente che lo ha salvato dalla destituzione per accontentare un vecchio sacerdote polacco, per di più amico di Fidel Castro. Poco conta che tra un mese (il 26 gennaio a Saint Louis, Missouri) i due debbano incontrarsi nel primo confronto tra il Grande Peccatore e l'Uomo di Dio dopo le rivelazioni del caso Lewinsky, che, esattamente un anno fa, oscurò la visita del pontefice a Cuba. L'unico effetto del passaggio di Giovanni Paolo II sul suolo americano, in fatto di clemenza, è, e resterà, il rinvio di un'esecuzione nel Missouri programmata proprio in uno dei due giorni della visita papale. Per il resto: avanti, come da calendario. Nel '98 si è toccata quota 500 da quando(nel 1976) è stata reintrodotta la pena di morte e il conteggio prosegue. Nei due Stati che maggiormente contribuiscono alle statistiche del settore sono governatori i fratelli Bush, che considerano la clemenza un mero sintomo di debolezza e il Bush del Texas non intende certo mostrarla nella sua corsa alla Casa Bianca, ormai pronta a partire. Che la destra religiosa di Pat Robertson si sia schierata contro, poco importa, soprattutto a Clinton, non disposto a fare concessioni a chi si è battuto per il suo «impeachment». Se il presidente concede qualcosa, lo fa perché gli conviene. La lista dei 33 a cui ha elargito «l'indulto di Natale» ne è una dimostrazione. Spiccano nell'elenco i nomi di Michael Larkin, David Ratliff e Vicky Seals, piccoli e oscuri delinquenti, condannati, negli Anni Ottanta, per avere mentito sotto giuramento in una dichiarazione resa a funzionari del governo. Il messaggio di Clinton è forte e chiaro. A Livingston che lo sfidava: «Fai come me: dimettiti perché hai tradito tua moglie», replica: «Fate come me, perdonate chi ha mentito». Il fatto poi che si tratti di bugie sotto giuramento potrebbe preludere a una nuova mossa del presidente, auspicata da molti perché la sua odissea giuridica possa approdare al porticciolo della censura: quella di ammettere lo spergiuro in cambio della tanto invocata clemenza del Senato. Perché non perdonare lui, come lui ha perdonato Vicky, bancaria del Texas, colpevole di aver messo la mano sul cuore e ingannato l'agente federale che la interrogava? La differenza salta agli occhi. Vicky non era la persona alla quale un Paese guardava come modello. Ma, d'altro canto, l'agente federale non le chiedeva particolari sulla sua relazione con il fattorino delle consegne. Clinton, tuttavia, non ha voglia di sottilizzare, solo di chiudere con il passato. Per stare sul sicuro ha perdonato anche due possessori di marijuana, perché nessuno ritiri fuori la vecchia storia di quando si limitava a «inalare», un ladro di posta (nel caso sparisse il carteggio di Linda Tripp), un paio di evasori fiscali e uno che aveva trafugato proprietà governativa (nell'eventualità che, lasciata la Casa Bianca, l'inventario risultasse lacunoso). Su tutti loro scende la clemenza del presidente inflessibile che sa distinguere i peccati veniali da quelli mortali, anche senza la consulenza del Papa: sono perdonabili solo quelli che commette anche lui. Gabriele Romagnoli In compenso ha concesso l'indulto per le feste a trentatré piccoli delinquenti condannati per spergiuro e possesso di marijuana I due Stati che sono in testa alle classifiche dei giustiziati sono governati dai fratelli Bush nuovi leader dei repubblicani Il presidente Clinton durante lo shopping natalizio a Washington Nella foto sotto, il corteo a Roma

Luoghi citati: Arkansas, Cuba, Missouri, New York, Roma, Texas, Washington