Baghdad chiude il cielo all'Onu di Franco Pantarelli

Baghdad chiude il cielo all'Onu «Hanno cercato la crisi per colpire, ecco le prove». Parigi: togliamo l'embargo Baghdad chiude il cielo all'Onu Un ex collega: Butler (e Clinton) hanno barato NEW YORK NOSTRO SERVIZIO La proibizione a un aereo delle Nazioni Unite di atterrare in Iraq; la denuncia di ulteriori violazioni dello spazio aereo iracheno da parte di americani e inglesi; l'aperta accusa di «collusione» fra Washington e il capo degli ispettori dell'Onu Richard Butler fatta da un suo ex collega: sono alcune delle confuse e contraddittorie notizie che la giornata di ieri ha aggiunto al complicato «dopo bombardamenti» della vicenda irachena. E tutti dicono che si tratta di schermaglie in vista della «revisione generale» di tutta la faccenda cui dovrebbe dar vita il Consiglio di sicurezza a partire da lunedì prossimo. L'aereo bloccato doveva partire da Amman, la capitale giordana, per riportare a Habanyya, una base aerea poco fuori Baghdad, un centinaio di osservatori incaricati di controllare i movimenti delle truppe irachene nella zona di confine con il Kuwait. Nel piano di volo era previsto anche il passaggio nello spazio aereo siriano, ma anche quello è stato negato dal governo di Damasco, quasi a sottolineare quanto nel mondo arabo i quattro giorni di bombardamenti contro l'Iraq abbiano fatto scendere le quotazioni dell'Onu. L'Iraq ha precisato all'Onu che il blocco imposto ai voli dell'organizzazione internazionale è «tempora- neo». Lo ha detto l'ambasciatore iracheno Nizar Hamdoon al segretario generale Kofi Annan. Baghdad aveva in precedenza detto che la misura era stata presa «per garantire la sicurezza del volo Onu per evitare che fosse preso tra i caccia americani e la contraerea irachena». In compenso, al personale «umanitario» dell'Onu, quello che gestisce il programma «petrolio contro cibo», è stata già permesso di tornare in Iraq ed ha già cominciato il lavoro di valutazione dei danni subiti. H segretario della Difesa america- no, William Cohen, è andato a fare gli auguri natalizi alle truppe nel Golfo ed ha annunciato una loro riduzione, assicurando comunque che ne resteranno abbastanza per «colpire di nuovo» nel caso sia necessario. E a Washington il consigliere di Bill Clinton per la sicurezza nazionale, Sandy Berger, ha detto che gli Stati Uniti sono «fermi» nel mantenimento dell'embargo economico contro l'Iraq, «che è già costato a Saddam Hussein 120 miliardi di dollari», ma allo stesso tempo ha detto che Washington è «pronta a esaminare» un aumento del pro¬ gramma «petrolio contro cibo». Attualmente quel programma prevede che l'Iraq possa vendere petrolio per 5 miliardi di dollari ogni sei mesi e che quella somma debba essere spesa esclusivamente (sotto il controllo dell'Onu) per acquistare derrate alimentari. E proprio a quel meccanismo sembra «ispirarsi» la Francia nella sua richiesta di rivedere il «modo» in cui si deve lavorare per impedire il riarmo dell'Iraq. In sostanza, dice Parigi, bisogna smetterla di incaponirsi sul passato (cioè andando a cercare quel che rimane delle armi irachene, come è stato fatto finora, fra tensioni e ultimatum) e concentrarsi sul futuro, vale a dire evitando che l'Iraq possa acquistare nuove armi. Come? Trasferendo il controllo «scientifico», quello degli ispettori, in controllo economico. In sostanza la Francia dice: togliamo l'embargo, lasciamo che l'Iraq venda tutto il petrolio che vuole, ma stiamo attenti che con i soldi che incassa non acquisti nuove armi. E' questa la base (che la stessa Parigi definisce «aperta ad altri suggerimenti») su cui a partire da lunedì il Consiglio di Sicurezze dovrebbe cominciare a di- scutero per sistemare una volta per tutte i rapporti fra l'Iraq e il resto del mondo. Ma su quella discussione gravano almeno un paio di nuvole molto dense. La prima è il «fattore Butler», vale a dire la «collaborazione» che secondo russi e cinesi c'è stata fra il capo degli ispettori e Washington per «preparare» i bombardamenti della settimana scorsa. A denunciare apertamente Butler c'è ora un suo ex collega, quello Scott Ritter che mesi fa abbandonò polemicamente il team degli ispettori. Ritter ha mosso ieri una accusa gravissima a Stati Uniti e Gran Bretagna: Londra e Washington, ha detto, «hanno manipolato il lavoro dell'Unscom in modo da giustificare gli attacchi aerei». Ritter se l'è presa in modo diretto ed esplicito con l'australiano Richard Butler dicendo che avrebbe ceduto a «pressioni» americane, con il risultato che «i siti per le ultime ispezioni non sono stati scelti nel quadro del disarmo, ma perché fossero di natura provocatoria e l'Iraq reagisse nella maniera più prevedibile» e cioè irrigidendosi. L'altra nuvola è che americani e inglesi hanno già apertamente detto che per loro, a questo punto, la soluzione del problema è una sola, la deposizione di Saddam Hussein, e per questa intendono «lavorare». Non è la premessa ideale per cercare un accordo. Franco Pantarelli «Da anni cerchiamo gli arsenali proibiti è strano che gli Usa li abbiano trovati» Nella capitale irachena un gruppo di persone osserva uno degli edifici colpiti dalle incursioni americane e inglesi