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 bfid Dopo le frecciate al thatcherismo, il regista inglese gira un film nel Nuovo Messico bfid My bmutifid Far West LONDRA. Le lavanderie metropolitane non potrebbero essere più lontane dalle praterie del New Mexico, ma Stephen Frears fa spallucce. Al regista che con «My Beautiful Laundrette» infilzò la Thatcher sullo spiedo della satira sociale non preme affatto di essere classificato come inglese. «Sono un bambino viziato e mi piace fare quello che mi sfizia», insiste lui, ammettendo candidamente di essersi divertito come uno scolaretto a girare «The Hi-Lo Country», un western-chenon-è-un-western ambientato tra i confusi mandriani del dopoguerra. Questo «lasciatemi divertire» è forse la chiave per capire un film che, nonostante Frears protesti il contrario, non gronda preoccupazioni sociali. Il regista dice che gli piace «fare film su culture diverse» e fin dall'inizio ha considerato la sua ignoranza del West una garanzia di freschezza. La cosa curiosa è che la storia di «Hi-Lo Country» era il chiodo fisso di Sam Peckinpah, che non riuscì mai a tradurre l'omonimo romanzo di Max Evans in una sceneggiatura decente. Che cosa ha voluto fare, che Peckinpah non sarebbe riuscito a fare, e viceversa? «Peckinpah non è mai riuscito ad azzeccare il copione perché ci sono troppe cose nel libro e non sapeva che cosa lasciare fuori. Io ho letto il romanzo e ho richiesto un vecchio nome dei western che sapesse scriverlo e insegnarmi come fare. Non sapevo come fare un western, e credo anche che molti giovani non lo sappiano. Quindi avevo bisogno di un maestro. Francamente però non so perché Peckinpah ci tenesse tanto: non è un film che si presta alle sparatorie». Come voleva legare le sue osservazioni sociali sul West ai rapporti emotivi tra i protagonisti? «Mi premeva molto che una cosa non prevalesse sull'altra. Ma non sono un antropologo: ho soltanto letto una storia su un mondo che mi piace. Se ho sbagliato l'equuibrio, mi dispiace». Il West è talmente diverso da quello che lei ha sempre fatto. «Lo era anche la Francia del 700, quella di "Relazioni pericolose"». Ma quella era più europea, letteraria, più vicina a noi «Parte dell'attrazione di un western è che questi film sono metafore, e richiedono la comprensione dell'arte di produrli. E mi pare di notare che i miei film migliori siano quelli in cui ho preso leggermente le distanze dalla loro cultura. Per me questo è un vantaggio, ma non so se possa esserlo per chiunque altro. Quando faccio film "vicini a casa" non posso essere obiettivo, mentre se sono cose di cui non so niente, posso essere come il pubblico». Ma non si considera caustico, e cioè inglese? «Essere caustici non sarebbe stato appropriato in questo caso. Io non mi considero un bel niente: ho trovato un mondo che mi interessa. Da una parte penso di essere incredibilmente inglese, non so. Ma seguo la mia curiosità. Ho imparato che sotto la superficie di un film popolare possono esserci emozioni molto profonde. Il linguaggio dei western è spesso un linguaggio di silenzio: la gente è laconica, è forte e tace. Quindi devo trovare altri modi per rendere espressivo questo mondo molto complesso. Una ragione per cui non ho potuto insistere più di tanto sul sociale è che ho dovuto capire le formule del western, che sono molto rigide, per capovolgerle». Come descrìve la sua collaborazione con Martin Scorsese? «Scorsese ha letto il libro e mi ha chiesto di dirigere il film. E' stato un'ottima guida nel mondo del cinema americano. Mi fido di lui. Scorsese si è battuto per il cinema indipendente, e quando c'è lui la mia posizione mi è sempre chiara. Lui è come la mia nanny». Una volta lei diffidava dei grossi film degli studios. Questa diffidenza si è ammorbidita? «La barriera tra film indipendenti e film degli studios è molto più grossa di quanto mi fossi mai reso conto. I film degli studios adoperano un linguaggio diverso dai film che io sono abituato a fare: la scala dei costi è diversa, i valori sono diversi. Gli studios sono in gamba, ma io so con chi mi trovo più a mio agio. Questo è un film indipendente, con un budget modesto per gli standard americani: 20 milioni di dollari». Il successo che oggi ci si aspetta da un film ha cambiato il mondo del cinema? «Le cose sono peggiorate: questa nozione di successo è un'invenzione moderna. Mi sembra idiota avere un cinema che funziona come se dovesse vincere un montepremi. Gli americani si sono costruiti una trappola, con questa storia del successo nel primo weekend. Se "Titanio" non avesse funzionato, almeno uno studio avrebbe chiuso, il che è una pazzia completa». Secondo lei si attribuisce un'importanza eccessiva ai film. C'è un suo film che lei ha trattato senza riverenza? «Tutti quelli buoni: hanno l'irriverenza in corpo. Quando si toghe un peso dalle spalle degli studenti, quelli lavorano con grazia. La responsabilità ti fa più cauto. Ho fatto "Relazioni pericolose" come se non avessi una sola preoccupazione al mondo. E "Hi-Lo Country" è stato una gioia, una chicca. La riverenza, invece, consiste nel portare il mondo sulle tue spalle». Maria Chiara Bonazzi «The Hi-Lo Country» prodotto da Scorsese e scritto da Sam Peckinpah è ambientato nel mondo dei cowboy al tramonto g|| 1 j» Stephen Frears sta girando il western «The Hi-Lo Country»; nella fotografìa qui sotto Patricia Arquette

Luoghi citati: Francia, Londra, Messico, New Mexico