Milano, l'arte delle barricate

Milano, l'arte delle barricate Mettermeli, Casa Ricordi, il popolino: a 150 anni dalle Cinque giornate in mostra la città di metà Ottocento Milano, l'arte delle barricate Vita e capolavori ai tempi dell'insurrezione ~7^T| MILANO 1 ' ! OM'ERA piccola e campeI stre, Milano, in quegli anni I 11 Quaranta, faticosi e fatali, I dell'Ottocento: piccola, cordiale, compressa entro le mura spagnole, attraversata dalle acque e dal verde, certo senza l'aspetto possente e ribaldo di una Capitale: nonostante fosse la città più ricca e fiorente di quella che non era ancora divenuta l'Italia e modello invidiato nell'intera Europa. Basta guardare quegli immensi prati intorno al Castello, antico vanto sforzesco: qualche Porta imperiale e poi una turgida urbanistica. «Una ciambella» la definisce efficacemente lo storico Della Peruta, uno degli ideatori di questa attraente e preziosa mostra, che ci illumina polifonicamente sulla situazione della vita milanese, tra Restaurazione austriaca e riscatto libertario. Che è poi il modo migliore di permetterci davvero di capire la storia, facendo dialogare tra loro e reagire in modo sostanzialmente teatrale, tutti quegli elementi (apparentemente più segreti: la scienza, la stampa, la scuola, la cultura, la chiesa) che se non presiedono, certo collaborano a una rivoluzione epocale. Una cittadina che dalle 130 mila anime del periodo napoleonico passa rapidamente a 160 mila: non ci sono ancora le fabbriche ma potenti manifatture di tabacchi e bottoni, intenso artigianato e poi soprattutto una legione efficientissima di sensali di seta diramati per l'Europa e una coltura agricola moderna quale perfino la «rivoluzionaria» Inghilterra ci invidia. Ma è il tessuto di cultura e di fervente organizzazione che sorprende e che così bene viene documentata da questa mostra composita capace di passare dal grande ritratto Biedermeier del politico imposto e malamato (che luci sinistre, alla Wright of Derby quando una Savoia va sposa all'Imperatore!) al gesso illustrativo delle prime locomotive, dal tondo in terracotta di Haydn o di Beethoven, che facevano bella mostra di sé in casa Ricordi, al grande dorato candeliere allegorico o aU'abecedario, terrore del piccolo scolaro diligente. E forse l'errore dell'incauto Metternich fu proprio quella di non accorgersi delle potenzialità di rinno¬ vamento e fermento di una città che si ostinò a considerare minore, a spegnere in un grigio burocraticismo periferico che certo non si meritava. Sostava a Vienna, tronfio e il bellissimo ritratto firmato da Ender risuona emblematico di quel suo distacco algido e démodé. In mezzo a tutti questi intellettuali o aristocratici milanesi già imborghesiti e cordializzati dal vento francese, i Meizi, i Cantù, i Confalonieri, i Maffei (la Clara del celebre salotto e Andrea, il traduttore di Goethe e Schil¬ ler, che aveva approntato per Verdi i Masnadieri) il vecchio ministro asburgico, con i suoi ricciolini apprettati, il toson d'oro ormai ridotto ad orpello, appare come uno spettro Ancien Regime vuoto, dalla livida cera d'alabastro. E' come se il pittore di corte fosse stato travolto da un'insana veggenza, ecco che alle sue fragili spalle si apre una voragine belliniana di natura romantica e tempestosa, davvero il ciclone della Storia cui risulta assolutamente sordo, impermeabile. E forse fu proprio invece quel tessuto minuziosamente colto e trapuntato di solidardietà ideologiche (quelle storiche bagarre alla Scala, fischiando la ballerina austriaca Elssler e i dominatori piazzati in platea, o esaltando quegli allusivi temi di rivolta biblica delle opere di Verdi o di Donizetti) a permettere ad una città di pochi uomini malarmati (combattevano però anche le donne ed i vecchi) a resistere con le leggendarie barricate ad un esercito granitico di oltre 14 mila austriaci. Da non dimenticare, poi, l'importanza di una scolarizzazione obbligatoria e gratuita: impressionanti pure le stampe o i modellini che ci documentano le scene di istruzione stile inglese, con gli irregimentati box pedagogici o i costrittivi banchi con scodelle annesse, che se oggi ci evocano l'Ignorabimus di Ronconi, al tempo erano all'avanguardia. Ma è la sezione Arte e Rivoluzione curata da Mazzocca che forse ci riserva più sorprese. Illuminando quel secondo Romanticismo di un'area laica refrattaria al purismo neomedioevale e trubadour di altre città più pie, che proprio attraverso i Concorsi di Brera testimonia di un rapido aggiornamento di temi e di gusti. E se il vecchio Hayez si apparta a dipingere il soffitto di Palazzo Reale per l'incoronazione di Ferdinando I, il suo allievo Induno (appoggiato dal critico progressista Tenca e perfino da Gautier) abbandona i temi dolciastri e tasseschi per immergersi in una realtà più verista e inquieta, con quella Maddalena, che manda ancora bagliori ribereschi. E congiungendosi dunque alla pittura di realtà lombarda dei pitoccheschi, cantando quella «vita intima delle famiglie, di cui tacciono molti storici»: quello che appunto non è accaduto qui, in questa apprezzabile mostra ricca di micro e macro-storia. Marco Vallora «Oh giornate del nostro riscatto». Milano dalla Restaurazione alle Cinque Giornate. Museo di via Sant'Andrea. Orario: tutti i giorni, 9-18. Chiuso lunedi Fino al 6 giugno. Catalogo Skira. Metternich commise l'errore di non accorgersi dei fermenti che animavano Milano, città ricca di manifatture, artigianato e al centro di un'agricoltura moderna, invidiata persino dalla «rivoluzionaria» Inghilterra