Clinton: mi sono salvato grazie a Mandela di Lorenzo Soria

Clinton: mi sono salvato grazie a Mandela IMPEACHMENT Galvanizzato dai sondaggi il Presidente è tranquillo: «Dimissioni? Non mi è mai passato per la testa» Clinton: mi sono salvato grazie a Mandela «Lui che ha sofferto, mi ha insegnato a non odiare i nemici» LOS ANGELES NOSTRO SERVIZIO Per i repubblicani e per quel terzo di America che vorrebbe vedere Bill Clinton cacciato con ignominia dalla Casa Bianca quanto sta accadendo in questi giorni è non solo irritante, ma inspiegabile. Pensavano che dopo il voto di sabato ci sarebbe stata un'ondata popolare a favore delle dimissioni, ma i sondaggi indicano che il presidente ha un sostegno più forte che mai. Erano anche convinti che il marchio dell'impeachment avrebbe ferito e umiliato il presidente, ma ancora una volta sono stati colti in contropiede. In questi giorni Clinton appare sereno e gioviale, a volte anche un po' tracotante. E' sicuro del fatto che la storia giudicherà l'impeachment con molta meno severità di quanto avviene in questi giorni. E no, non serba rancori. Capisce che molti dei repubblicani che hanno votato contro di lui sono stati soggetti a pressioni troppo forti. E comunque, come gli ha insegnato il suo amico Nelson Mandela, l'odio non libera ma rende prigionieri. Domenica sera, 24 ore dopo il voto per l'impeachment, il presidente ha tenuto alla Casa Bianca una festa pre-natalizia per amici, soste¬ nitori e impiegati. C'era anche una reporter del «Los Angeles Times». E adesso è possibile avere una testimonianza diretta sullo stato d'animo del presidente in questi giorni storici e anche un po' surreali. Come si sente?, gli ha chiesto la giornalista. «Non male», ha risposto Clinton sorridente. Poi ha parlato di Iraq, di Medio Oriente e anche di impeachmente, soffermandosi in particolare sulle ragione per cui nelle scorse settimane ha scelto di tenere una certa distanza e di non andare all'attacco. Una lezione che Clinton ha appreso da Mandela, che gli ha spiegato anni fa come aveva fatto a non serbare odio e rancore per coloro che per venti anni lo avevano privato della sua libertà, dei suoi affetti e dei suoi sogni. «Aveva capito che c'erano due cose che non avrebbero mai potuto portargli via, il suo cuore e la sua mente», ha raccontato Clinton, che ha anche aggiunto che, ogni volta in cui si sono sentiti al telefono nel corso di questo anno burrascoso, il presidente sudafricano gli ha sempre raccontato di non dare via la mente e il cuore. Anche quando il 5 agosto, due settimane prima della deposizione di fronte agli uomini di Ken Starr, il vice di Mandela Tabo Mbelki si è presentato alla Casa Bianca, è arrivato con questo messaggio: «Ho una domanda da parte del mio presidente: hai dato via la mente o il cuore?». Più o meno lo stesso consiglio, ha aggiunto Clinton, datogli da Anthony Nangun, un pastore della chiesa pentacostale che Clinton aveva consultato nei giorni subito dopo lo scoppio dell'affair Lewinsky e che domenica sera era con lui alla Casa Bianca a festeggiare. ((Attento - lo ammonì Mangun -. I tuoi nemici sono mossi da un impulso oscuro. E tu non puoi lottare direttamente, perché quando luce e oscurità si mischiano tutti diventa grigio». Così Clinton ha lasciato la battaglia ai suoi luogotenenti. «Mi fossi fermato ad organizzare la mia difesa invece che a fare il lavoro della presidenza, il mio sostegno sarebbe caduto a picco», ha spiegato candidamente il presidente. Alla festa di domenica sera, Clinton ha parlato anche di Larry Flynt, l'editore pornografico che, con le sue rivelazioni, ha costretto lo speaker della Camera Bob Livingston alle dimissioni. Adesso i nemici di Clinton lo accusano di essersi alleato a quello sporcaccione di Flynt, ma il presidente ha trovato il modo di scherzarci sopra. Dimettendosi, Livingston ha sfidato Clinton a fare altrettanto. Ma il presidente ha confermato che questa scelta «non è mai passata per la mia testa». Lorenzo Soria

Luoghi citati: America, Iraq, Los Angeles, Mandela, Medio Oriente