Carpi, Bagutta anonimo

Carpi, Bagutta anonimo IL CASO. Neanche una recensione, ma lo scrittore si aggiudica lo stesso il riconoscimento Carpi, Bagutta anonimo «Così ho vinto senza maneggi» P MILANO ERCHE' non far riposare, non abolire i premi letterari per un anno? Così gli autori fanno in tempo a rileggersi quel che hanno scritto, gli editori affilano le loro armi un po' spuntate, i critici rivedono i loro criteri di giudizio. La letteratura insomma ne guadagnerebbe un bel po'. «Proposta benemerita e provocatoria, questa della Stampa, ma inutile - osserva lo scrittore e regista cinematografico Fabio Carpi -. Dopo un anno, tutto tornerebbe come prima, gli editori più industrializzati tornerebbero cioè a predominare sul mercato dei premi, lo però devo star zitto, perché a me è andata bene». Il caso di Fabio Carpi è infatti curioso. Non unico, ma certamente raro. E' successo che in primavera Carpi pubblica da Bollati Boringhieri un romanzo atipico, lontano dai gusti correnti, intitolato Patchworck, che subito s'infila nel più rigoroso anonimato: non ottiene nessuna recensione, non ha nessun battage pubblicitario, non compare da nessuna parte. E tuttavia a novembre Patchworck, così smagliante di silenzio, vince uno dei premi più ambiti, il Bagutta. Merito di un critico «provinciale», come si definisce Giovanni Creili, professore di liceo a Lugano ora in pensione, che in agosto aveva scritto una breve recensione su un settimanale del Canton Ticino, Azione, distribuito gratuitamente dai grandi magazzini Migros (questi magazzini - cosa notevole - spendono in cultura l'uno per cento dei loro profitti). E' stato Creili a convincere gli altri giurati del Bagutta, da Isella a Pontiggia, da Tadini a Gramigna, da Nascimbeni a Galimberti, Del Corno, Santagostini. «Nessuna tresca, nessuna pressione esterna», assicura Carpi, 73 anni, milanese. Che è uno scrittore pure lui atipico, come il suo libro. Appartatissimo, quasi nascosto: «Ignoro nel modo più completo il mondo letterario. Prima di consegnarlo a Bollati Boringhieri, avevo mandato il mio romanzo ad altri dieci editori: sono stati dieci rifiuti». Certo, Patchwork esige un minimo di applicazione, almeno all'inizio. Non che sia un romanzo difficile, ma si diverte a prendere un po' in giro il lettore, ci gioca insieme. Le pagine sono un viavai tra prima e terza persona e tra finzione e realtà. I personaggi sono come Pinocchio, sono burattini, eroi da fumetto o da cartone animato che cominciano a vivere avventure per davvero. E al fondo di tanto formicolio di azioni, spinge per sbucar fuori, e ogni tanto trabocca, un sentimento drammatico, tragico, di disperazione, impotenza, solitudine. A tratti sembra di sentire parole alla Beckett. Così Patchwork è un romanzo sull'impossibilità di raccontare e sulla necessità opposta, di dire, di denudarsi, di confessare tutto se stesso da parte dell'autore. «Scrivere è per me malattia e terapia nello stesso tempo spiega Carpi -. Sono indotto, quasi a costretto a scrivere, ma poi nego questo mio scrivere, ne prendo le distanze, quasi non posso crederci. E' più torte di me». Carpi ha scritto una decina di libri fra romanzi, racconti e saggi, e ha anche diretto una decina di film, pure scritti da sé. Le due professioni fanno tutt'uno, ciascuna nel suo do- Dopo dieci film e dieci romanzi, la prima afférmazione a 73 anni con «Patchwork» pubblicato | da Bollati Boringhieri | A destra, Fabio Carpi; da sinistra Riccardo Bacchelli e Orio Vergarli minio. Questo addentrarsi della scrittura nell'interiorità e nell'interrogazione s'è però ingigantita dopo i romanzi La digestione artificiale (Mondadori, '67) e Mabuse (Bompiani, '82), che ebbero recensioni prestigiose: «Il cinema s'affida alla visione, è per forza di cose più obiettivo. I romanzi mi sono diventati tutto il contrario». L'ultimo suo film, Nel più profondo paese straniero, ha vinto tre premi in Canada. Ne sta preparando un altro, Nobel, con altri libri. A Parigi, al quinto piano senza ascensore in una casa di rue du Dragon, SaintGermain-des-Prés. Da Roma, quel «pantano mediorientale», se n'è andato. Ogni tanto, dall'Italia, qualche bella notizia, come la vittoria al Bagutta. «Una vita ostinata, la mia, perché cerco di fare solo quello che voglio fare». Claudio Altarocca