Blitz contro la tratta dei piccoli albanesi di Fabio Poletti

Blitz contro la tratta dei piccoli albanesi Arrestati 20 aguzzini a Milano. Li costringevano a consegnare almeno 50 mila lire al giorno Blitz contro la tratta dei piccoli albanesi Ridotti a schiavi tra i topi MILANO. Vivevano qui, ammassati come schiavi, dentro capannoni diroccati alla periferia di Milano, per tetto un cielo di lamiera. Ragazzini di 13 e 16 anni, arrivati da Fier in Albania dopo una traversata sui gommoni. Facce sporche, maglioni a brandelli, appena un sorriso davanti alle telecamere dei carabinieri, che li riprendono dopo l'irruzione nella ex raffineria di via Palizzi. Sguardi duri, manette ai polsi, per i 20 carcerieri, anche loro di Fier. Diciassette uomini e tre donne, Drita, Xhulia e Feruza, vivandiere e cuoche. «Aguzzini e schiavisti, non ci vengono altre parole», dicono i carabinieri, che hanno chiamato l'operazione «Orco», anche se tutto è molto peggio di una fiaba, pure la più feroce. «Ogni ragazzino doveva chiedere l'elemosina ai semafori. Cinquantamila al giorno, l'incasso stabilito. Per chi non ci riusciva erano botte», spiegano i carabinieri. 0 mozziconi di sigarette spenti sul corpo. 0 i piedi nella benzina e poi le fiamme, come raccontano questi ragazzini, presi dalla doppia paura di ritornare sulla strada o in Albania, dai genitori che li hanno venduti per due-tre milioni all'organizzazione e che forse intascavano parte degli incassi. E' stato uno di questi 20 ragazzini, bloccato tre mesi fa a un semaforo dai carabinieri, a raccontare tutto. Dalle botte, di cui portava ancora i segni addosso. Allo stanzone, nell'ex raffineria di via Palizzi a Quarto Oggiaro, dove a sera dovevano ritornare tutti, dopo 12 ore di lavoro, dopo aver raccolto almeno 50 mila lire. E allora sono stati tre mesi di appostamenti, con le telecamere dei carabinieri accese. A riprendere questo piccolo esercito di schiavi che alle sette di mattina usciva dal capannone, un sacchetto di plastica con un panino preparato dalle vivandiere e un po' d'acqua, per stare in piedi. Per non pensare al freddo, all'Albania, a Milano vista da un semaforo. Altre riprese alla sera, quando dagli autobus e dai tram, scendeva l'esercito di ragazzini, alcuni in strada da febbraio, altri arrivati da poco e chissà quanti ancora erano attesi. Tre mesi di indagini e&poi l'irruzione, 80 carabinieri di Sesto San Giovanni, Monza e Milano in assetto da guerra, più due gruppi con i cani. Tutti dentro questo capannone con il tetto a volta, i muri grigi, topi e gb insetti. Dentro questo bu co nero a un passo dalla tangen ziale che va a Varese, a pochi me tri dai centri commerciali. Dove si vede una bicicletta rotta, un carrello del supermercato abbandonato, una maglia grigia stesa su un filo. E dentro è peggio, se possibile materassi sono ammonticchiati su cubi di cemento o polistirolo. Le coperte sono buttate in un angolo Di alcuni divani e poltrone si vedono le molle. Un armadietto ha i vetri rotti. Dietro a una colonna c'è la bombola, il fornello a gas, lo scatolone dei pelati Cirio, i tavoli con ancora i piatti di plastica. In un mare di rifiuti, di pezzi di pia stica, ferro, gomma, cartone ( quelli che una volta dovevano es¬ sere dei vestiti. Il giorno peggiore doveva essere il sabato. Non per la doccia settimanale in un bagno pubblico. Per i conti degli spiccioli raccolti dai ragazzini schiavi ai semafori. Cinquantamila al giorno, non si poteva sgarrare. «I soldi venivano cambiati nei supermercati della zona. Non dicevano niente, a loro la moneta fa sempre comodo...», raccontano i carabinieri. Otto milioni in contanti, uno zainetto ancora pieno di monetine, hanno trovato in un angolo del capannone. Erano i soldi del capo, uno di questi 20 arrestati con l'accusa di riduzione in schiavitù, lesioni gravi, immigrazione clandestina e sfruttamento di minori. Uno di questi 20 che nel campo guidato come un lager gestiva i ragazzini, più 12 adulti, anche loro ai semafori a riscattare la corsa in gommone, un milione pagato dal" organizzazione. «Volevamo chiamare l'operazione Babbo Natale, poi abbiamo pensato che fosse meglio Orco», ammettono i carabinieri, mentre sul tavolo ci sono le foto prese agli angoli della strada, a Milano e appena fuori, con i ragazzini al semaforo guardati a vista dagli adulti, appunto gli Orchi, che controllano che nessuno intaschi nemmeno 100 lire, che non ci siano pause, che il lavoro sia efficiente. Tutti i ragazzini, già sentiti dagli assistenti sociali, non vogliono dire nulla, temono ritorsioni, hanno paura di tornare in Albania. Molti la traversata l'hanno fatta più volte. Ora sono stati affidati a centri di accoglienza. I 12 adulti sono stati invitati a regolarizzare la loro posizione in questura. I 20 «orchi» sono in carcere. E in via Palizzi sono tornati i Rom con le loro roulotte. Fabio Poletti L'ex raffineria alla periferia di Milano nei cui sotterranei sono stati liberati venti piccoli albanesi

Persone citate: Orchi, Ragazzini