la vendetta della russia
la vendetta della russia la vendetta della russia LMOSCA A proposta di Primakov all'India, di costruire un «triangolo asiatico» con la Cina per fronteggiare, ga va sans dire, lo strapotere americano, non ha l'aria d'essere un'alzata d'ingegno estemporanea. E il fatto che, apparentemente, non sia un'idea nuova non autorizza ad archiviarla con supponenza. Alla prima di queste due conclusioni si giunge subito. A lanciare l'idea di una grande alleanza asiatica non è uno qualunque dei giovanotti che la sorte - e il capriccio di Eltsin - volle alla guida della Russia in questi anni di post-comunismo. Non ò neanche un qualsiasi Cernomyrdin, la cui visione di politica estera, nel bene e nel male, coincideva con la lunghezza e il diametro dei gasdotti sovietici. E' invece il capo del governo russo, quell'Evgenij Primakov chiamato in soccorso da Eltsin per evitare le troppe e umilianti figuracce di «mister yes» Kozyrev. E' il diplomatico di scuola sovietica, abituato a soppesare le virgole, rifuggente da ogni improvvisazione, magari grigio e tetro, ma capace di pensare almeno tre mosse in avanti. Se ha deciso di lanciare (anzi rilanciare) l'idea vuol dire che ci ha pensato sopra abbastanza. E che non è cosa da consumare e buttare come una lattina di birra. Certo non è un'idea nuova. Il primo a lanciarla fu, guarda caso, Mikhail Gorbaciov, in quel lontano 19 novembre 1988 in cui, a Delhi, ricevette dalle mani di Rajiv il premio Indirà Gandhi. Un triangolo - disse - «di straordinaria importanza per il futuro dell'Asia e dell'intero processo mondiale». Eltsin riesumò poi l'idea, nella versione ridotta dell'asse Mosca-Pechino, per fare la voce grossa quando la Nato cominciò a espandersi a Est. E le capitali occidentali, Washington in testa, emisero, con fondate ragioni, solo moderati sospiri di compatimento. Ma questa volta la musica è diversa. E non solo perché è cambiata la voce del tenore. 11 fatto è che il preludio è stato eseguito dal rombo di 430 missili «cruise» precipitati su Baghdad e Bassora. Sarà opportuno, dunque, non interpretarla come opera comica. Sbagliano, per uscire di metafora, coloro che, a Washington, Londra e in altre capitali occidentali, si sono affrettati a dichiarare che il bombardamento sull'Iraq non produrrà effetti significativi sulle relazioni Russia-Usa e, più in generale, su quelle dell'America con quella vastissima parte del globo che non fa parte del «miliardo dorato». E' ben vero che, in politica - e ancor più in diplomazia - nulla è irreparabile. Ma l'impressione, questa volta, è che il danno sia stato particolarmente grave. E la situazione è diversa. Questa crisi, che Primakov ha ripetutamente detto di considerare niente affatto conclusa, viene dopo quasi un biennio in cui la leadership americana sul mondo manifesta crepe molto serie. Mosca è, di questo progettato triangolo, il vertice più debole. Gli altri due vertici sono, allo stato attuale, decisamente meno esposti alla crisi economica e finanziaria prodotta dalla globalizzazione del pensiero unico. In altri termini un tale triangolo non può essere a egemonia russa. Né la proposta di Primakov lascia trapelare questa velleità. Ma appunto questo è il dato nuovo, anche rispetto al momento in cui Gorbaciov gettò sul tappeto quell'inedito dado triangolare alla ricerca di un punto d'appoggio che l'Occidente non sembrava intenzionato ad offrirgli (e infatti non gli offrì): che Mosca, Delhi e Pechino sono 11*3 loro in condizioni di grandissimo equilibrio e di comuni, convergenti, interessi. E' come se Mosca avesse preso atto, realisticamente, di essere parte del terzo mondo. Deboli, ciascuno, di fronte alle capitali di questa fine di secolo. Ma possenti se risultassero capaci di mettersi assieme per definire i limiti dell'unica grande potenza. Forse oggi è difficile vederne gli effetti, ma il tempo dell'Asia è più lungo di quello dell'America. Giuliette Chiesa
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