Da Veltroni a Fini, tutti per il referendum
Da Veltroni a Fini, tutti per il referendum Parata di big anti-proporzionale. Ma i popolari insistono sulla «destabilizzazione della maggioranza» Da Veltroni a Fini, tutti per il referendum Di Pietro: e poi, il voto. Cossutta: fa male vederli così ROMA. «Primo, secondo, terzo, quatto». Nel giorno in cui tutti sembrano uguali, con le signore in pelliccia che applaudono Ermete Realacci sul palco in maglione e i deputati di An accanto ai militanti che mostrano fieri la targhetta dell'Italia dei Valori, l'unico a mostrarsi «comunque» diverso è Di Pietro, «Io parlo per punti e non dò motivazioni», attacca l'ex pm. E poi via con l'elenco: primo, secondo, terzo. Senza fronzoli, «perché i fatti parlano e le chiacchiere se le porta il vento...». Nel salone del residence Ripetta, sotto uno striscione che inneggia all'Italia «che non si ferma», promotori e sostenitori del referendum antiproporzionale ci sono tutti: Walter Veltroni, Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, Romano Prodi che insiste sulla «stabilità di governo come ricchezza per il Paese», Segni, l'ecologista Realacci a rappresentare il partito dei sindaci, Occhetto che ringrazia Veltroni di aver guarito, con la sua presenza, «un vulnus» per cui soffiva da anni. Ognuno con le sue posizioni e i suoi uomini sparsi per la sala, a guardarsi straniti: «Persino Fini sembra uno dei nostri», sussurra Claudio Petruccioli, osservando D parlottare fittissimo tra Veltroni e il leader di An. Insieme in nome del referendum, senza imbarazzi evidenti: «Solo un troglodita potrebbe pensare che qui possa nascere un'alleanza - dice Fini -. Ho imparato che il maggioritario non aiuta e non condanna nessuno. Ai tempi del primo referendum, temevo che la mia forza politica si estinguesse. Non è andata proprio così...». Casini aggiunge: «Rendo omaggio a Prodi, gli riconosco l'onore delle armi perché come lui credo nel bipolarismo. Basta con la favola della diversità italiana: il proporzionale è segno di nanismo politico». Gli avversari che si sorridono in sala sono così tanti che si fa prima a elencare gli assenti. Non c'è Berlusconi, anche se Casini ripete che «il suo spirito aleggia qui con noi, perché più di lui per il bipolarismo non ha fatto nessuno». Il leader del Ccd insiste, finché Fini non lo blocca con una battuta: «Sta parlando il nuovo portavoce del Cavaliere...». Non ci sono i popolari, e lo storico Pietro Scoppola se ne «dispiace». Manca soprattutto Cossiga, che pure si era fatto fotografare in maniche di camicia accanto agli altri promotori: l'ex Presidente, in sala, non lo nomina nessuno. La «damnatio memoriae» come condanna per la politica dell'Udr. Per quello che Segni definisce «lo spettacolo avvilente di trasformismi e ribaltoni» e spinge Di Pietro a chiedere il voto dopo il referendum, «perché questa maggioranza non è quella uscita dalle urne». E poco importa che, quando le stesse cose le aveva dette Scalfaro dall'Australia, l'ex pm avesse protestato. Per Di Pietro, la fedeltà vai bene qualche passo indietro: «Ci vuole una legge elettorale. Ma non così, tanto per fare: noi abbiamo raccolto le firme per il doppio turno di collegio, ma siamo anche disposti a votare con la legge che esce dal referendum». Non basta: «Alle europee, Italia dei Valori otterrà un grande risultato. Ma e pronta a sciogliersi in nome del partito democratico». I battibecchi di sempre, annacquati dal bon ton, saltano fuori quando Fini ricorda a Di Pietro che lui, di andare a votare, non ne ha voglia: «E non certo per paura, figuriamoci. Ma il maggioritario è un principio che si può applicare in tanti modi. E' il Parlamento che deve decidere...». 0 quando Veltroni ricorda a chi esalta i movimenti che «anche nei partiti c'è gente che si impegna e merita rispetto». 0 ancora quando Casini e Veltroni si punzecchiano sui ribaltoni: «E' facile condannarne l'amoralità e poi sfruttarli per governare», ammicca il primo. «E' un problema di sistema, non di morale. Per questo ci vuole una legge: o sarebbe troppo facile ricordarvi che la Campania non è diversa dal Molise», replica il secondo, ricordando un ribaltone «al contrario». E alla fine, quando Di Pietro lancerà l'idea di un referendum contro il finanziamento ai partiti, Fini sarà gelido: «Quella legge non passerà mai. E' troppo truffaldina...». Le polemiche dure arrivano da fuori, trasversali anche loro. Enrico Boselli e i socialisti democratici invocano un «comitato del No». Applaudono i Verdi, per cui il vertice del Ripetta è soltanto un «desolante circo della partitocrazia». Applaude anche la Lega, che irride alla «grande abbuffata». Giovanni Bianchi del Ppi descrive una «folla di leader in cerca di scorciatoie», mentre il vertice del partito insiste sulla «destabilizzazione della maggioranza» che l'iniziativa referendaria potrebbe provocare. Per il «no» secco sono anche Bertinotti e Cossutta. «Prodi e Veltroni con Fini - dice il leader dei comunisti al governo -. Fa male vederli così». Guido Tiberga L'ITALIA NON f F I leader referendari Antonio Di Pietro e Mario Segni In alto: Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, Romano Prodi e Walter Veltroni alla manifestazione di ieri al Residence Ripetta Manca Berlusconi ma «il suo spirito aleggia con noi - dice Casini - più di lui per il bipolarismo non ha fatto nessuno»
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