NATALE ANTEGUERRA

NATALE ANTEGUERRA NATALE ANTEGUERRA La neve, il presepe, gli agnolotti e il pranzo su tovaglie di Fiandra QUANDO ero piccola scrive Gemma Bianchi Carpinteri - Gesù Bambino scendeva la Notte Santa a deporre i suoi doni, portandoci via i nostri peccati. Per l'occasione la mamma ci faceva indossare le carnicine da notte nuove, che Gesù avrebbe benedette passando. Chissà se qualche persona anziana ricorda ancora il Natale di quando Torino era composta soltanto da torinesi, con le loro severe qualità, la serietà e l'onestà quasi paradossali e i loro innati difetti?... Il Natale era soprattutto per i bambini. Già le domeniche precedenti si faceva la passeggiata intorno ai .grandi negozi di giocattoli: bambole stupende: di biscuit, di panno Lenci, di celluloide e le prime (tedesche) infrangibili. Naturalmente c'erano anche tutte le specie di trenini, cavalli a dondolo e animali rivestiti di panno. La vigilia i fanciulli andavano a letto molto presto e il sonno, per l'emozione, tardava a venire. Gesù Bambino non voleva certo lasciarsi scorgere e non avrebbe mai posato i suoi doni, se i bimbi non fossero stati immersi nel sonno più profondo. I miei genitori la vigilia lavoravano fino a tardi per preparare i cibi per l'indomani: trituravano squisite carni arrostite per il ripieno degli agnolotti, verdure varie, il cappone, i dolci. Poi allungavano tavoli, ne aggiungevano altri, traevano dai cassetti enormi tovaglie antiche dette «di Fiandra», con le cifre della nonna ricamate a mano, tra fiori, angioletti e ghirlande. In tutto il calendario non figurava data che potesse competere con quella: 25 dicembre! Si attendevano dunque per il grande giorno i nonni materni, le zie, i cugini; e le ore sarebbero gioiosamente volate intorno al tavolo, parlando fitto fitto del presente e del passato. I nonni erano del 1860 ed avevano tante cose interessanti da raccontare dei vecchi tempi, di Torino capitale d'Italia, dei nobili che davano molto lavoro alle sarte (le caterinette) per i balli di Palazzo Reale, degli amori di Vittorio Emanuele II...Noi ragazzi, apparentemente composti, ci scambiavamo di nascosto scherzetti e risatine d'intesa e stringevamo felici al petto il dono più bello. La mattina di Natale, infatti, echeggiavano molto presto le grida di gioia, perché i bambini trovavano sul tavolino messo vicino al letto la sera precedente, i doni sognati durante tutto l'anno. Non si facevano ad ogni occasione come adesso, doni ai fanciulli! Ma a Natale non c'era bambino che non ricevesse im pur piccolo regalo, clùesto per mesi a Gesù, insieme a preghiere e patti di bontà presente e futura. Io, con insistenza e fede non chiedevo altro che la bambola. Bambole, bambole diverse, tutte da stringere al cuore e a cui fare da mammina... Veramente, il capo di tutte le bambole era l'orsacchiotto, mio amico e consolatore fin dai primissimi anni d'età. Mi guardava coi lucidi occhi neri, il suo pelo giallo era il mio rifugio quando di notte avevo paura e i miei segreti erano suoi. Per dimostrargli il mio amore gli avevo dato il nome di mio padre: Mario. I vecclù torinesi a Natale non addobbavano di luci e lustrini un abete, e non conoscevano ancora il falso Babbo Natale, venuto dall'America solo dopo l'ultima guerra. Preparavano invece con meticolosa cura il Presepe. Ogni anno aggiungevano un personaggio nuovo, dopo averlo corteggiato a lungo nel negozio. Ciascun personaggio aveva nome e personalità propria. Solo Gesù, Giuseppe e Maria erano intoccabili. Non venivano certo sostituite con statuette nuove: passate da una generazione all'altra, consumate e sorpassate, erano ormai considerate sacre per la «divina parte» che sostenevano da tanto tempo. La mamma, con un rapido sguardo d'intesa al papà, talvolta guardandole sussurrava: «Ricordi?». Erano i loro segreti. I vecchi torinesi non dovevamo mai scambiarsi effusioni davanti ai figli. Una sola volta, all'alba di un lontano Natale, precipitandomi nella loro camera, nell'entusiasmo di mostrar loro i bei doni di Gesù, vidi la mamma bellissima, con la massa di capelli biondo scuro sciolti sulle spalle, mentre di giorno li stringeva nella severa crocchia dietro al capo (dai torinesi chiamata «puciu») e gli occhi lucenti d'amore. La mattina, tutti alla splendida Messa alla parrocchia di San Secondo. A metà pomeriggio del giorno di Natale, lasciavamo mamma e parenti a continuare la festa e noi due, guidate dal papà, anche se la neve cadeva fitta e i piedi si gelavano, ci precipitavamo in corso Siccardi dove c'erano tanti banchi ricolmi di libri. Nostro padre, lettore accanito, sceglieva i suoi con mano sicura e noi ci lanciavamo su storie e romanzi. Io non avevo dubbi: mi dirigevo determinata alle fiabe. Esigevo orchi, fate, streghe, gnomi e folletti per soddisfare l'inarrestabile fantasia. Con i nostri tesori sotto il braccio, cercavamo ancora di visitare qualche presepio nelle chiese del centro e, svelti e infreddoliti, rientravamo a casa dove ritrovavamo gli ospiti che ancora sostavano con noi fino a sera. Come tutto nella vita, anche il giorno più bello dell'anno, stava volgendo alla fine. Ricordo che proprio quando il Natale viveva il suo giusto tramonto, nostro padre ci diceva pressappoco: «Vedete, bambine? Abbiamo aspettato ansiosamente questo giorno, ma quello che consideravamo il "futuro" oggi è stato il "presente" e quello che chiamiamo il "presente" fra poche ore sarà il "passato". Cercate dunque di apprezzare e santificare ogni giorno della vostra vita, perché tutto passa in fretta, ma quello che conta è esserne consapevoli. Abituatevi dunque a comportarvi bene in ogni occasione, ad essere indulgenti con gli altri e severe con voi stesse». La /alterimi per ( lesti Bambina {Volo arci li rio Iji Stimi/ni)

Persone citate: Fiandra, Gemma Bianchi Carpinteri, Gesù, Lenci, Natale Anteguerra, Vittorio Emanuele Ii

Luoghi citati: America, Italia, Torino