DAL LIBRO AL FILM di Guido Tiberga
DAL LIBRO AL FILM DAL LIBRO AL FILM PENSI a un cartone animato con un gruppo di animali protagonisti, e subito ti vengono in mente le umanizzazioni all'americana: topi con gli occhiali, orsi che usano le zampe come se fossero mani, cani saggi che fumano la pipa. Roba come Braccobaldo o gli Aristogatti. «La Gabbianella e il Gatto» di Enzo d'Alò è diversa: una storia di gatti che restano tali anche se pensano e parlano tra loro. Felini «veri», a quattro zampe, che vivono la loro esistenza parallela a quella degli uomini, interagendo il meno possibile ma chiedendo il loro aiuto quando le speranze sembrano perdute per sempre. Una bella favola, insomma: «Forse, in confronto con i film americani sbarcati nelle sale in questi giorni - racconta il regista torinese - noi pecchiamo un po' di understatement. Ma questa è una storia che non ha bisogno di eroi o di straordinari effetti speciali. Mi piaceva l'idea di raccontare le cose dal punto di vista dei gatti. E l'ho fatto...». La trama è quella nota, modellata con qualche modifica sulla favola di Luis Sepùlveda che un paio di anni fa ha sbancato le classifiche di vendita: Kengah, una femmina di gabbiano, durante la sua prima migrazione, è sorpresa da una chiazza d'olio, frutto di uno speronamento tra una petroliera e un mercantile. Con le forze che le restano vola fino a un balcone che si affaccia sul porto. Qui incontra il gatto Zorba, cui affida il suo uovo e al quale strappa una promessa impossibile: far nascere il pulcino e insegnargli a volare. Rispetto alla novella, il film di d'Alò sfuma le tematiche ecologiste (nel testo di Sepùlveda, ò l'incuranza degli uomini a provocare la marea di petrolio, generata da un'irresponsabile lavaggio in mare delle cisterne) per concentrarsi sul tema della diversità. La gabbiana Fortunata - questo il nome del pulcino crescerà nella comunità felina del porto, convincendosi di essere un gatto e stringendo un rap¬ porto di grande (e conflittuale) amicizia con Pallino, il cucciolo della banda: un personaggio «nuovo», creato da d'Alò e dallo sceneggiatore Umberto Marino appositamente per il film. Il finale segue la trama di Sépulvèda, che comunque ha dato la sua piena approvazione al soggetto al punto da voler intervenire personalmente, come voce fuori campo, nell'edizione italiana del film. Così vedremo Fortunata finire vittima di un rapimento, organizzato da una gang di giganteschi topi, che la usano come ostaggio nella loro guerra senza fine con i gatti. Zorba, Colonnello, Diderot, Segretario la bella Bubulina e gli altri protagonisti del romanzo riusciranno a salvarla, ma non a insegnarle a volare. Per non tradire la promessa fatta a Kengah, i gatti saranno costretti a violare un tabù: parlare con un uomo. Chiederanno l'aiuto di un uomo: un poeta del porto, l'unico in grado di comprendere le loro richieste. I disegni di Valter Cavazzuti (personaggi) e Michel Fuzellier (sfondi) sono molto delicati, con la scenografia realizzata ad acquerello. L'animazione, diretta da Silvio Pautasso e Giorgio Valentini, non abusa di effetti elettronici: il computer entra in gioco in appena tre sequenze: all'inizio, nella rappresentazione di un sogno e nelle immagini di un gabbiano morente. Poco, su un totale di 220 mila disegni che sono serviti per arrivare a un'ora e un quarto di animazione. Una scelta voluta, per una storia che, nel film come nel libro, è stata scritta più per far pensare che per stupire. Un ruolo importante - come sempre nella storia dell'animazione - è affidato alla colonna sonora, scritta da David Rhodes, un musicista della Real World, gli studi fondati da Peter Gabriel. Le canzoni sono interpretate da Ivana Spagna, Leda Battisti, Samuele Bersani e Gaetano Curreri. Tra i doppiatori Carlo Verdone e Antonio Albanese. Guido Tiberga DAL LIBRO AL FILM
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